La Collezione Marcenaro, in deposito al Museo Diocesano dalla Fondazione Cariplo, rappresenta la parte più rilevante della collezione d’arte antica lasciata nel 1976 alla Fondazione da Caterina Marcenaro (Genova 1906-1976). Storica dell’arte e protagonista del recupero e del rinnovamento museale di Genova quale direttrice dell’Ufficio di Belle Arti del Comune della città, la Marcenaro rinnova Palazzo Bianco e Palazzo Rosso e allo stesso tempo si dedica alla costituzione di una raccolta personale che comprende soprattutto dipinti e sculture, secondo direttive di gusto ben individuabili, orientate verso soggetti prevalentemente religiosi e verso la ritrattistica.
Per quanto riguarda le sculture, le opere coprono un arco cronologico che spazia dal XV al XIX secolo e sono riconducibili ad ambiti diversi, dal Nord Europa, alla Liguria, all’area sardo-napoletana. Un posto rilevante occupano indubbiamente le sculture lignee, che rivelano un interesse probabilmente suscitato alla studiosa dalla notevole diffusione in ambito ligure di tale forma artistica.
Sono qui presentate solamente le opere esposte nelle sale del museo, ordinate cronologicamente.
Collezione Marcenaro
Scultore valdostano (XV secolo), Santo Vescovo, legno scolpito con tracce di dorature, 70,3x20,1x17,8 cm, Inv. MD 2004.117.002 L’opera è genericamente indicata come figura di Santo Vescovo, come attestano la presenza della mitra e della pianeta: purtroppo la perdita delle braccia e delle mani, non permette di identificare il santo con maggiore precisione. Il confronto con una scultura conservata all’Académie Saint-Anselme di Aosta conferma l’attribuzione alla scuola valdostana e la datazione al XV secolo, come indicano anche la veste liturgica accollata e la pianeta solcata da pieghe rigide e leggermente falcate. Quanto resta della scultura originaria, abrasa nella superficie, è intagliato in un unico massello di legno a cui dovevano essere aggiunti gli avambracci mancanti.
Scultore della Liguria di Ponente (metà del XV secolo), Cristo crocifisso, legno scolpito e dipinto, 136,7 x 27,2x25,1 cm, Inv. MD 2004.117.027 Il crocifisso, mutilo di entrambe le braccia e privo della croce, è riconducibile all’area del Ponente ligure per numerosi particolari come i bulbi oculari rilevati e socchiusi, la bocca semi aperta, l’acconciatura a torciglioni scolpiti, la costituzione anatomica e l’ansa a U del perizoma dal nodo complesso.
Scultore della Liguria di Ponente (metà del XV secolo), Cristo crocifisso, legno scolpito e dipinto, 103,6 x 87,5x16,7 cm Inv. MD 2004.117.026 Il crocifisso è riferibile all’area ligure e rivela, in particolare, stringenti affinità con quello conservato nell’oratorio di San Giovanni Battista a Riva ligure, della metà del Quattrocento: si notano infatti analogie nell’espressione del viso, nel ricadere delle ciocche e nell’impostazione anatomica tesa ad accentuare lo sforzo.
Scultore fiorentino (metà del XV secolo), Madonna con il Bambino, terracotta dipinta, 105,5 x 59 x55,8 cm, Inv. MD 2004.117.020 La scultura raffigura la Madonna seduta che sorregge il Bambino, in atteggiamento benedicente in piedi, con gesto deciso ed espressione severa, secondo un’iconografia tipicamente quattrocentesca. Il basso sedile della Madonna è dotato di maniglie di ferro che sembrano indicare un antico uso processionale. Nonostante il precario stato di conservazione, degno di nota è il modellato del gruppo, di salda monumentalità con un’attenta resa dei volumi e dell’anatomia.
Scultore veneto (1460-70), San Pietro, legno dipinto e dorato, 78,5 x 23,7x10,8 cm, Inv. MD 2004.117.001 Consunta e pesantemente restaurata, insieme al Santo Apostolo, era parte probabilmente di un medesimo polittico scultoreo, come farebbe pensare il fatto che il rilievo sia basso, con il lato posteriore piatto, per essere inserito in una nicchia; numerosi dettagli rimandano all’ambito veneto. Quest’opera raffigura San Pietro, riconoscibile grazie alla fisionomia, dalla barba corta, e la fronte stempiata; la mano sinistra reggeva con ogni probabilità le chiavi, mentre nella destra tiene un libro.
Scultore veneto (1460-70), Santo (Apostolo?), legno dipinto e dorato, 78,5 x 20,5x11,1 cm, Inv. MD 2004.117.022 Consunta e pesantemente restaurata, insieme al San Pietro, era parte probabilmente di un medesimo polittico scultoreo, come farebbe pensare il fatto che il rilievo sia basso, con il lato posteriore piatto, per essere inserito in una nicchia; numerosi dettagli rimandano all’ambito veneto. Quest’opera era stata inizialmente identificata con San Paolo ma in realtà la fisionomia è troppo generica per una puntuale identificazione del personaggio.
Bottega lucchese (primo quarto del XVI secolo), Ecce homo, stucco dipinto, 49,7x48,2x20 cm, Inv. MD 2004.117.018 L’originaria attribuzione a Donatello, poi prudentemente ricondotta ad una più generica scuola fiorentina della seconda metà del XV secolo, è stata ora riferita da studi recenti alla scuola lucchese di inizio Cinquecento per i suoi tratti di marcata espressività. La drammaticità di opere come questa che si inserisce in un filone molto diffuso in quel tempo, mirava a coinvolgere emotivamente il fedele, inducendolo ad identificarsi con le sofferenze di Cristo: il restauro del 1992 ha individuato l’originaria presenza di tracce di sangue dipinto.
Scuola marchigiana (?) (prima metà del XVI secolo), San Sebastiano, Legno scolpito, dipinto e dorato, 157,7 x 56x45,2 cm, Inv. MD 2004.117.014 L’opera raffigura san Sebastiano legato ad un albero, su un piccolo podio esagonale dipinto a finto marmo con il perizoma dorato Molto diffusa in area umbra ma anche marchigiana è la produzione di sculture devozionali dedicate al santo, declinato secondo un’iconografia più addolcita e contemplativa, che si distingue dal filone più drammatico. Le forme arrotondate e levigate, la fisionomia adolescenziale e anche il tipo di basamento avvicinano l’opera alla produzione del “Maestro della Madonna di Macereto”, attivo in Umbria nella prima metà del secolo, sebbene con esiti qualitativamente diversi.
Scultore abruzzese (XVI secolo), Testa di Madonna, terracotta dipinta e dorata, 27,6 x 21,8x21,8 cm, Inv. MD 2004.117.005 Frammento superstite di una Madonna probabilmente a figura intera, la testa è riferita ad area abruzzese per la tipologia del volto, la posa un po’ retroversa del capo con lo sguardo molto abbassato. L’originale paternità assegnata allo scultore abruzzese Silvestro dell’Aquila, attivo negli ultimi decenni del Quattrocento, è stata in seguito sostituita dal più cauto riferimento al generico ambito abruzzese del Cinquecento.
Scultore sardo-napoletano (primi decenni del XVII secolo), Santo Vescovo, legno scolpito, dipinto e dorato, 140,4 x 53,2x34,4 cm, Inv. MD 2004.117.029 L’opera, che ha subito nel tempo numerosi danni e pesanti restauri, rivela ancora sulla superficie tracce della policromia originale, in particolare della decorazione detta a estofado, il termine spagnolo che indica il colore graffito sopra la foglia d’oro ad imitazione del damasco: questo tipo di disegno si ritrova a frequentemente a Napoli a inizio Seicento e in anche altre aree dell’Italia meridionale e in Sardegna. Quest’ultima sembrerebbe l’area di provenienza dell’opera: qui è attestata infatti una produzione scultorea ispirata a quella napoletana. Stilisticamente il santo rivela influssi della scultura napoletana, in particolare nell’anatomia allungata con le spalle strette, nel tipo di caduta di pieghe all’altezza del ginocchio e nei lineamenti del volto.
Scultore dell’Italia meridionale (?) (XVII secolo), San Giovanni Evangelista, legno scolpito, argentato e meccato,79 x 29,2x21,3 cm, Inv. MD 2004.117.012 La scultura, insieme al San Pietro, faceva con ogni probabilità parte di un Apostolato, termine spagnolo che indica la rappresentazione dei dodici apostoli in un unico ciclo, produzione diffusa soprattutto nella Spagna seicentesca. Il tipo di fattura delle due opere, più corsiva e modesta, esclude però il riferimento ad un artista spagnolo ma farebbe pensare piuttosto a una provenienza dall’Italia meridionale, come la Basilicata o la Calabria, aree in contatto con la Spagna.
Scultore dell’Italia meridionale (?) (XVII secolo), San Pietro, legno scolpito, argentato e meccato, 31,1x19,4 cm, Inv. MD 2004.117.011 La scultura, insieme al San Giovanni Evangelista, faceva con ogni probabilità parte di un Apostolato, termine spagnolo che indica la rappresentazione dei dodici apostoli in un unico ciclo, produzione diffusa soprattutto nella Spagna seicentesca. Il tipo di fattura delle due opere, più corsiva e modesta, esclude però il riferimento ad un artista spagnolo ma farebbe pensare piuttosto a una provenienza dall’Italia meridionale, come la Basilicata o la Calabria, aree in contatto con la Spagna.
Bottega sardo-napoletana (XVII secolo), San Giuseppe con Gesù Bambino, legno scolpito, dipinto e dorato, 50,9 x 26,3x19,5 cm, Inv. MD 2004.117.004 Il piccolo gruppo scultoreo, danneggiato in più punti, presenta ancora tracce sulla superficie della decorazione detta a estofado, termine spagnolo che indica il colore graffito sopra la foglia d’oro ad imitazione del damasco: questo tipo di disegno si ritrova a frequentemente a Napoli a inizio seicento e in anche altre aree dell’Italia meridionale e in Sardegna. Forti sono le analogie fra quest’opera e quelle campane presenti in Sardegna, quali il San Giuseppe con il Bambino nella chiesa della Vergine delle Grazie a Sanluri o ancora la Madonna della difesa in San Giorgio a Cagliari.
Scultore tedesco (?) (XVII secolo?), Cristo Crocifisso, legno scolpito e dipinto, 73,8 x 18,5x13,4 cm, Inv. MD 2004.117.003 L’opera, purtroppo mancante delle braccia, della gamba sinistra, di metà del piede destro e dell’intera croce, raffigura con intensa caratterizzazione espressiva Cristo con il capo reclinato, gli occhi serrati, la fronte aggrottata e il volto sofferente incorniciato da una barba scolpita in ciocche regolari. Il perizoma è costituito da un panno ripiegato su una doppia corda. Già riferito a scuola valdostana del XV secolo, è stato poi spostato ad un ambito tedesco in base a confronti con opere nordiche, a cui rimandano in particolare gli zigomi pronunciati, il trattamento della chioma e il tipo di panneggio del perizoma.
Scultore napoletano (?) (ultimo quarto del XVII secolo), Madonna dolente, legno scolpito, incamottato, 119,9x 57,5x37,5 cm, Inv. MD 2004.117.010 La scultura raffigura l’Addolorata e nasce probabilmente come opera a sé stante, forse destinata ad uso processionale, che seguiva il gruppo del Calvario nelle celebrazioni del Venerdì santo. A lungo riferita all’area spagnola per la sua forte carica devozionale e l’espressività intensa e patetica, è stata recentemente ricondotta all’area napoletana, in stretto contatto con la cultura artistica iberica: al barocco napoletano rimandano infatti il movimento dei panneggi che paiono sollevati dal vento e il movimento centrifugo della figura nello spazio. Frequente a Napoli anche l’incamottatura di tela, usata in particolare per rafforzare le parti più sottili e fragili dei panneggi.
Anton Maria Maragliano (Genova, 1664-1739) ambito di, Madonna dolente, legno scolpito e dipinto, 50,4x38,8x21,6cm, Inv. MD 2004.117.009 La figura con il manto blu e il velo bianco che copre tutta la fronte, le mani giunte e la testa inclinata è identificabile con una Madonna Dolente tradizionalmente collocata alla destra del Crocifisso nel gruppo del Calvario. L’opera era probabilmente a figura intera ed è stata poi decurtata e trasformata in busto: penalizzata dalle pesanti ridipinture, in realtà presenta grande padronanza tecnica e stilistica. La critica recente la avvicina all’ambito del genovese Anton Maria Maragliano, sia per l’impianto compositivo che per alcuni particolari quali il gioco di pieghe sotto lo scollo del manto.
Scultore lombardo (XVIII secolo), Testa di Cristo, legno con tracce di policromia, 34,3x19,5x21,9 cm, Inv. MD 2004.117.013 L’opera, frammentaria e in origine policroma, è stata interpretata come una testa di Cristo sulla scorta delle gocce di colore rosso presenti sulla tempia, allusive alle ferite della corona di spine. Sia i lineamenti della figura sia le caratteristiche dell’intaglio fanno pensare ad una datazione al XVIII secolo, in particolare per la resa mossa del volume. Caratteristiche di questo genere si trovano in busti reliquario lignei di area lombarda del XVII e soprattutto del XVIII secolo, quali i busti provenienti dalla parrocchiale di Civenna, datati 1759, ora al Museo Diocesano.
Scultore di ambito coloniale (?) (XVII secolo?), Crocifisso, legno scolpito e dipinto, corda, 134x110,2x30 cm, Inv. MD 2004.117.015 L’opera, di carattere artigianale e popolaresco, come evidente dall’uso delle staffe di ferro per unire i due blocchi lignei che compongono la scultura e dalla presenza della corda. Riferito in passato all’ambito ligure, il Crocifisso è ora stato ricondotto con prudenza all’ambito coloniale forse sudamericano. La datazione potrebbe essere al XVII secolo.
Scultore di ambito coloniale (colonie portoghesi) (XVIII secolo), Crocifisso, legno scolpito e dipinto, 87x61,8x19,8, Inv. MD 2004.117.006 Proporzioni, fisionomia e caratteri stilistici rendono atipico questo crocifisso nel panorama non solo ligure, ambito a cui era stato riferito in passato, ma in quello della scultura italiana. Le evidenti sproporzioni fra busto e testa, i grandi pieni, l’enfasi data al perizoma conferiscono alla scultura un tono quasi espressionistico, lontano dal naturalismo proprio della scultura italiana. Alcuni particolari come il trattamento del perizoma, e il vigore nella resa di volumi farebbero piuttosto pensare all’ ambiente coloniale portoghese, forse il Brasile.
Manifattura fiorentina (laboratorio Lelli) (XIX secolo), Madonna, terracotta dipinta, 44,9 x 46,5x20,3 cm, Inv. MD2004.117.021 Il frammento è parte di una composizione di Giovanni Della Robbia, attivo a inizio Cinquecento nella bottega del padre Andrea, la lunetta della parrocchiale di Ripoli, presso Firenze. Quest’opera fu replicata frequentemente a calco nell’ambito del revival neo rinascimentale diffuso dalle manifatture fiorentine della seconda metà dell’Ottocento. Il calco all’epoca era impiegato largamente nelle accademie e di questo esemplare proveniente dal laboratorio Lelli esistono anche altre varianti.
Mino da Fiesole (Papiano AR,1429-Firenze 1484) derivazione della seconda metà del XIX secolo, Santa Caterina da Siena, stucco dipinto, 51,7 x 37,8x13,5 cm, Inv. MD 2004.117.019 Il busto è una replica in stucco dipinto dell’esemplare in marmo conservato alla National Gallery di Washington, opera emblematica della produzione di Mino da Fiesole. Il busto della santa, racchiuso in un velo castigato con piccole pieghe filiformi, con un atteggiamento grave e modesto, corrisponde perfettamente alle opere rinascimentali imitate e riprodotte dai falsari a partire dal XIX secolo.