Chiostri di Sant’Eustorgio un luogo di storia e di preghiera
Chiostri di Sant’Eustorgio un luogo di storia e di preghiera

Different origins

A number of artworks of the Diocesan Museum have been acquired more recently – the donation of the Sozzani drawings, comprising 105 graphic works from the 15th century to date, was obtained in 2008 through the testamentary provision of Milanese banker Antonio Sozzani. This remarkable donation was joined, in 2014, by the precious Schubert bequest, including a rare, gemmed cross from the first half of the 13th century, and some important works on board. Beside the collections of ancient art, over the years the Museum has opened up to contemporary art more and more, by acquiring significant works over time, also in this case through loans, bequests and donations. The bequest of paintings by Milanese artist Ambrogio Magnaghi (2010) was followed by the donation of a remarkable group of sculptures from the second half of the 20th century, coming from the collection of Walter Fontana, with works by Floriano Bodini, Luciano Minguzzi, Manzù and Francesco Messina.

Artista lombardo (?) (primi decenni del XVII secolo), Figura femminile, matita nera e pastelli su carta, mm 376x300, Inv. MD 2008.130.019 Attribuito inizialmente dalla critica a Giulio Cesare Procaccini (1574-1625) e in seguito più cautamente alla sua bottega, secondo studi recenti il disegno è da riferire probabilmente ad un artista formatosi nella Milano di inizio Seicento Nel foglio milanese il colore riempie tutta la superficie, con il chiaro intento di imitare effetti pittorici; il taglio della composizione e la pesante ripassatura dei contorni, fanno pensare a una copia eseguita da un particolare di un dipinto preesistente. La fisionomia e lo scorcio del volto ricordano, più che modelli di Giulio Cesare, certi profili dei dipinti e dei disegni di Camillo Procaccini. Il concitato patetismo della donna e le mani giunte farebbero pensare ad una Maddalena o una Maria piangente, magari inserita in una composizione più grande e complessa.
Francesco Cairo (?) (Milano, 1607 – 1665), Studio per santa Barbara, sanguigna e pastello bianco su carta cerulea, mm 174x139, Inv MD 2008.130.090 Il disegno è forse preparatorio per un dipinto ovale raffigurante santa Barbara. La giovane donna, infatti, stringe nella mano destra la palma del martirio e sullo sfondo è visibile il profilo di una torre, suo attributo iconografico. La tecnica utilizzata, matita rossa su carta cerulea, permette di ricondurre il foglio all’area lombarda. Il tratto vigoroso e dinamico, unito alla complessità della costruzione della figura e al forte patetismo fanno pensare ad una datazione tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta del Seicento. Il confronto fra questo disegno con la contemporanea produzione artistica di area lombarda fa propendere la critica recente per un’attribuzione a Francesco Cairo.
Carlo Francesco Nuvolone (copia da) (Milano, 1609 – 1661), San Francesco nella neve, sanguigna su carta vergata, mm 198x270, Inv. MD. 2008.130.044 Il foglio è stato messo in relazione dalla critica con il ciclo decorativo della X cappella del Sacro Monte di Orta: la posa della figura tratteggiata a sanguigna ricalca infatti in modo puntuale quella del san Francesco gettatosi nella neve per resistere alle tentazioni della carne che si osserva in uno dei sette pannelli affrescati da Carlo Francesco e Giuseppe Nuvolone sulle pareti della cappella ortese dedicata alla Vittoria di san Francesco sulle Tentazioni. Studi recenti rilevano che la sanguigna mostra una minor tensione qualitativa rispetto alla stesura vibrante e sfumata e il segno rapido e morbido dei disegni di Nuvolone conservati nella Biblioteca Ambrosiana di Milano: più che studio preliminare all’esecuzione dell’affresco sembrerebbe quindi una derivazione accademica dallo stesso.
Giovanni Antonio de Groot (Arona, Novara, 1644 – Scopa, Vercelli, 1712), Scena di elemosina, penna, inchiostro nero, acquerello e bianco a guazzo su carta preparata bruna, mm 279x233, Inv. MD 2008.130.071 Difficile definire il soggetto di questo disegno: probabilmente si tratta di una scena di elemosina o forse una comunione di mendicanti o ammalati. Il foglio è riferito Giovanni Antonio de Groot, originario di Arona, educatosi prima a Milano con Antonio Busca e poi a Roma, a contatto con Carlo Maratta e il circolo del Tempesta. Dopo un soggiorno ad Amsterdam (1694 – 1698), de Groot rientra a Milano probabilmente nel 1699: sono questi anni di grande sperimentazione, in cui mette a punto uno stile personale. De Groot si confronta con una nuova generazione di pittori intenti a rivoluzionare il panorama figurativo milanese, da Filippo Abbiati al Legnanino ad Andrea Lanzani. Anche la grafica risente di questa nuova congiuntura, evidente nei disegni dell’artista conservati alla Pinacoteca di Varallo, databili al primo decennio del Settecento, a cui si può accostare il foglio in esame. Il tratteggio quasi slavato che ombreggia le figure è caratteristico dell’interpretazione del barocchetto lombardo di de Groot, così come le linee mosse che definiscono le figure dai volti caricati, la muscolatura contorta in composizioni fortemente concitate, e i colpi di biacca sulla la superficie del foglio. Si tratta di una delle prove grafiche più interessanti realizzate dall’artista nei primi anni del Settecento.
Artista anonimo (fine XV – inizio XVI secolo), Busto di filosofo (?), inchiostro e penna su carta, mm 223 x 157, Inv. MD 2008.130.034 Rilevando il carattere arcaico del disegno, tutto eseguito a penna con un tratto fitto e minuzioso, Giovanni Testori lo riferiva alla scuola padovana del XV secolo, mentre successivamente è stata proposta un’attribuzione allo Pseudo Pacchia, anonimo artista attivo nei primi decenni del Cinquecento, probabilmente senese e che mutua il suo nome convenzionale da Gerolamo Pacchia, per affinità stilistica. In realtà questo busto mostra un linguaggio più arretrato, ancora carico di retaggi tardogotici che ne pongono la datazione in bilico tra la fine del XV secolo e il principio del secolo successivo. La tecnica utilizzata è ampiamente diffusa in tutta l’area padana, e trova effettivamente alcuni punti di contatto con la produzione della scuola padovana. Il tratteggio insistito, quasi da incisore, la fisionomia espressivamente rimarcata e i lunghi baffi ben rilevati sulla barba sembrano tradire però influenze nordiche, tanto da far pensare che l’autore possa anche essere straniero, forse un pittore d’Oltralpe entrato in contatto con la pittura veneta del secondo Quattrocento.
Artista veneto (?) (seconda metà del XVI secolo), Testa maschile barbuta, matita nera e gesso su carta tinta, mm 197 x 144, Inv. MD 2008.130.008 Inizialmente riferito da Giovanni Testori a Gaudenzio Ferrari, il foglio è stato successivamente ricondotto all’ambito veneto. La marcata espressività del volto ricorda esperienze figurative caratteristiche dell’area tra Lombardia e Veneto, mentre la ricercata stereometria della testa, ripresa in scorcio dal basso, con i lineamenti schiacciati e ben caratterizzati, sembrerebbe rimandare a pratiche disegnative maturate all’interno della bottega dei Bassano.
Artista veneto (XVII secolo), Testa femminile, matita nera, biacca e acquerello su carta; mm 445 x 355, Inv. MD 2008.130.017 La carta molto spessa e porosa, cosparsa di macchie di umidità, sembra avere assorbito in parte il colore, molto evanescente, del disegno, attribuito da Giovanni Testori a Palma il Vecchio (1480-1528), a lungo attivo sulla scena veneziana. Nonostante l’apparente rimando alle fisionomie femminili robuste e sensuali predilette da Palma il Vecchio, la tecnica, l’estremo controllo della forma e della plasticità del volto, nonché alcuni particolari come il vaporoso nastro che regge l’acconciatura appena sopra la fronte, rispecchiano un linguaggio molto più evoluto rispetto alla cronologia dell’artista e inducono a spostare la datazione almeno entro i primi decenni del Seicento. Date le difficili condizioni di lettura del foglio, la critica recente propende per una generico riferimento all’area veneta.
Artista veneto (inizio XVII secolo), Testa di vecchio con barba, pastello su carta grigio azzurra; mm 333 x 283, Inv. MD 2008.130.018 Sebbene sia definito da un’iscrizione antica, sul verso «Originale del Tiziano» e riferito da una scritta più recente e di non chiara lettura, a lapis, in basso a sinistra sul recto, a Guglielmo Caccia (1568-1625), oppure a Giulia Lama (1681-1747), il disegno è ricondotto da Giovanni Testori a Jacopo Bassano (1510-1592). In realtà la stesura del colore levigata, l’uso di gamme chiare e fredde rimanda agli esiti della ritrattistica di uno dei figli di Jacopo, Leandro (1553-1613). Questo pittore si stacca gradualmente dalla tradizione coloristica famigliare, mettendo a punto un disegno carico di ricordi di Tiziano e Tintoretto, arrivando ad uno stile personale, con esiti di grande livello soprattutto nei ritratti. Sono caratteristiche che si ritrovano in parte in questo foglio: mentre pare certa l’influenza subita dalle opere dei Bassano, di Leandro in particolare, è più difficile circoscrivere una datazione precisa per l’esecuzione, che dovrebbe collocarsi però entro i primi decenni del Seicento.
Artista veneto (XVII secolo), Testa di uomo con barba, pastello e matita rossa su carta ocra, mm 380 x 260, Inv. MD 2008.130.036 Giovanni Testori riferiva il disegno a Federico Fiori detto il Barocci (1535-1612), ma secondo gli studi recenti è lontano dagli alti esiti grafici del pittore: il contorno degli occhi presenta ripassature incerte di matita rossa, la definizione plastica del volto è debole. Potrebbe trattarsi di una copia un poco più tarda da un qualche modello almeno influenzato dai modi del Barocci, forse un esercizio, come testimonia anche il contorno della barba, rifilato con una strana sagomatura a pastello nero, come fosse la traccia per un futuro ritaglio del foglio eseguita da mano inesperta. Le caratteristiche tonali e il pacato luminismo richiamano tecniche disegnative diffuse soprattutto in area veneta, dove disegni e pastelli del Barocci erano assai apprezzati e copiati.
Marcantonio Bassetti (Verona, 1586 – 1630), Parabola della pecorella smarrita, inchiostro a penna, acquerello bruno e colore bianco a guazzo su carta, mm 125 x 176, Inv. MD. 2008.130.062 Il foglio illustra il contenuto della parabola della pecorella smarrita nella versione dall’evangelista Luca (15, 1-10); viene raffigurato il momento in cui il buon pastore, dopo essersi allontanato dal gregge per andare alla ricerca dell’animale che si era perduto, condivide con i vicini e gli amici la gioia per il suo ritrovamento. Le figure compatte dei pastori incombono sul proscenio occupando quasi interamente lo spazio della composizione; la stesura, a lunghe pennellate, è spedita e vibrante e rinvia ai monocromi di Marcantonio Bassetti, al quale l’opera milanese è stata correttamente riferita da Giovanni Testori prima e da Edoardo Testori poi. Questo riferimento è confermato dal confronto con il notevole nucleo di disegni del pittore veronese che si conserva nelle Collezioni Reali di Windsor, con il quale l’opera in esame mostra stringenti affinità sia sul piano dello stile che su quello compositivo.
Artista veneto (metà del XVII secolo), Testa di uomo barbuto, tracce di matita e inchiostro metallico a penna su carta, mm 103 x 133, Inv. MD 2008.130.032 Il disegno in esame, giunto in un momento imprecisato nella collezione Sozzani da quella di Eleuterio Pagliano (1826-1903) come evidente dal timbro in basso a destra, portava un’attribuzione a Giambattista Tiepolo, rimarcata dalla scritta a matita visibile in basso a destra sul bordo del controfondo; Giovanni Testori lo riferisce invece a Gian Domenico Tiepolo. Le dimensioni ridotte del foglio e le condizioni conservative non ottimali rendono difficile un’attribuzione mirata. Il riferimento all’ambito della pittura veneziana o veneta è da mantenere; l’esecuzione è da retrodatare intorno alla metà, o poco oltre, del XVII secolo. Alcuni confronti di carattere iconografico si possono istituire con una tipologia di vecchio barbuto, accigliato e dai capelli scompigliati, molto frequente nei dipinti di Francesco Maffei (1605 circa-1660), artista vicentino dal linguaggio espressivo personale.
Artista italiano (veneto?) (fine XVII – inizio XVIII secolo), Studio di testa femminile di profilo, sanguigna e biacca su carta, mm 126 x 106, Inv. MD. 2008.130.065 Giovanni Testori riferisce il foglio alla scuola veneta tra ottavo e ultimo decennio del XV secolo e avanza dubitativamente un’attribuzione a Vittore Carpaccio, mentre Edoardo lo riferisce a Bernardino Gatti detto il Sojaro, datando il disegno intorno al 1540. Il fitto reticolo di segni tracciati a sanguigna, che costruisce il modellato del volto giovandosi di ampi tocchi di biacca parrebbe però indicare una collocazione cronologica più avanzata: la natura del tracciato grafico e l’accentuazione del chiaroscuro presentano infatti caratteri settecenteschi, o ancora legati al XVII secolo. Le oscillazioni attributive e cronologiche danno conto della complessità del disegno in esame che la critica più recente assegna ad anonimo italiano con una datazione oscillante tra XVII e XVIII secolo.
Nicola Grassi (?) (Forneaso di Zuglio, Udine, 1682 – Venezia,1748), San Vincenzo Ferrer, matita su carta, mm 334 x 249, Inv. MD 2008.130.007 Il disegno raffigura Vincenzo Ferrer, predicatore e santo domenicano, con indice puntato verso il cielo, la piccola fiamma ardente sul capo, la presenza del libro e del giglio, suoi attributi iconografici. E’ cautamente riferito dalla critica a Nicola Grassi, pittore di origini friulane attivo a lungo a Venezia nella prima metà del Settecento. L’agile distribuzione spaziale della figura risponde effettivamente a schemi compositivi caratteristici del Grassi, che spesso costruisce le sue scene per contrapposti e diagonali, alla ricerca di un controllato e vibrante dinamismo. Anche il volto di san Vincenzo, affilato sul mento e dai grandi occhi a mandorla, risponde alla fisionomia dei giovani santi e sante dipinti dal Grassi in più occasioni. Più difficile trovare riscontri precisi con altri disegni del pittore, data anche la scarsa frequenza della sua produzione grafica.
Artista veneto (metà del XVIII secolo), Testa di monaca o santa in estasi (recto), Paesaggio con monaco che legge e memento mori (verso), gessetto nero, pastello o gessetto bianco su carta grigioazzurra; mm 210 x 280, Inv. n. MD 2008.130.063 Il foglio, disegnato su entrambi i lati, è riferibile alla cultura figurativa veneziana di metà Settecento. L’influenza, nella stesura grafica, dei modi di Piazzetta e degli artisti della sua scuola risulta evidente, mentre la tipologia facciale della donna, lo scorcio del viso e il panneggio del velo rimandano a modelli di ambito soprattutto tiepolesco. Sul verso, dove lo stesso artista ha accennato una scena allegorica con un monaco intento nella lettura entro un’ambientazione desertica, e in primo piano una sorta di memento mori formato da una croce e un libro tenuto aperto da un teschio.
Artista veneto (metà del XVIII secolo), Testa di frate e studi di rettile (recto), matita nera, gesso nero e pastello o gessetto bianco; Studi di scoiattoli (verso), matita nera, gesso nero e matita rossa, mm 215 x 95, Inv. MD 2008.130.064 Sicuramente veneto o veneziano e databile intorno alla metà del XVIII secolo, il disegno non mostra particolari caratteristiche o qualità di rilievo che consentono di avanzare attribuzioni e confronti con opere di altri artisti attivi sulla scena lagunare. Realizzato su una striscia di carta molto grezza dai contorni irregolari, mostra al recto una piccola testa di frate, quasi caricaturale nella forte caratterizzazione espressiva, e definita con pochi e deboli tratti di matita nera e qualche colpo di bianco. Anche i due studi di rettile in basso sono solo schizzati con un segno estremamente leggero e incerto. I soggetti, messi insieme, fanno pensare ad accenni e idee per una qualche scena eremitica. Al verso lo stesso segno esitante, e quasi infantile nell’applicazione di poche tracce di matita rossa, riproduce due studi per uno scoiattolo, rivolto a destra e a sinistra.
Artista veneto (?) (prima metà del XVIII secolo), Figura nuda seduta, matita rossa su carta; mm 337 x 281, Inv. MD 2008.130.078 Si tratta di una classica «accademia», ovvero un’esercitazione sul nudo ampiamente praticata in ambito accademico nel Settecento su modelli prima dal vero, poi via via sempre più idealizzati. E’ stato riferito da Giovanni Testori a Federico Bencovich (1677-1753). La critica recente osserva che i disegni di nudo di Bencovich si distinguono però per un segno più fluido, mentre qui il tratto è greve e netto dei contorni, appesantito nel chiaroscuro, che blocca il corpo umano nello spazio, annullandone anche il senso di torsione e movimento. L’insistenza sulla resa plastica dell’anatomia attraverso il disegno lascia pensare anche che questa esercitazione possa essere legata ad una cultura figurativa differente: non sono pochi gli esempi di esercitazioni prodotte nell’ambito dell’Accademia bolognese, spesso proposte come opere veneziane.
Giambattista Piazzetta (ambito di) (Venezia, 1682 – 1754), Nudo maschile a mezza figura, matita nera, gesso bianco, pastello grigio e acquerello su carta preparata azzurra, mm 208 x 285, Inv. MD 2008.130.003 Secondo la critica più recente il disegno è da inquadrare genericamente nell’ambito della grafica accademica che ruota intorno a Giambattista Piazzetta. L’artista è il punto di riferimento per molti artisti giovani e meno giovani che si trovano a frequentare l’Accademia istituita a Venezia dallo stesso Piazzetta fino dal 1722, decenni prima dell’apertura ufficiale della scuola di nudo nella neonata Accademia veneziana nel 1750. Anche il disegno in esame rientra in questo ambito: è quasi certamente un’«accademia» (tale il nome, mutuato dalle istituzioni didattiche, assegnato alle pratiche del nudo) realizzata da un artista fortemente influenzato dalle prove grafiche di Piazzetta, e in particolar modo dai nudi del maestro databili agli anni Trenta del Settecento.
Artista veneto (metà del XVIII secolo), Adorazione del Bambino, inchiostro a penna e pennello su carta vergata, mm 186 x 299, Inv. MD.2008.130.060 Nel centro della composizione, in primo piano, la Madonna è inginocchiata mentre tiene tra le braccia Gesù Bambino; alle sue spalle un'imponente figura di uomo vestito all'antica regge nella sinistra un bastone e si rivolge verso l'anziano con la barba alla sua destra, probabilmente san Giuseppe. All'estremità sinistra del foglio vi sono altre figure rese con un tratto estremamente rapido e nervoso che ne delinea sommariamente i volumi, mentre nel centro e sulla destra, in secondo piano, si scorgono architetture d'impronta classica. L'uso a macchia dell'inchiostro steso a pennello ed il segno grafico scattante e quasi concitato rimandano all'ambiente veneziano della metà del XVIII secolo, in particolare a Giambattista Tiepolo a cui Giovanni Testori aveva attribuito il disegno in esame. La mancanza di qualità e di efficacia nell'esecuzione, nonchè la stesura sbrigativa e poco raffinata dell'acquarellatura, portano tuttavia ad escludere decisamente la mano del Tiepolo: si preferisce per il momento mantenere il generico riferimento alla scuola veneta della metà del '700.
Artista veneto (seconda metà del XVIII secolo), Studio di figura, matita rossa, matita e pastello o gessetto bianco su carta, mm 340 x 212, Inv. MD 2008.130.084 Il foglio è probabilmente da riferire all’ambito veneziano o veneto, con una collocazione cronologica intorno alla metà del XVIII secolo. Il tratteggio eseguito con una matita rossa larga e morbida, la linea di contorno più insistita, la definizione del chiaroscuro che seziona la figura disponendola per piani nello spazio, sono elementi che ricordano alcuni disegni realizzati da Giambattista Pittoni (1687-1767) e dal suo entourage. Anche la tipologia della figura, monumentalizzata con piglio moderno nello scorcio dal basso, è lontanamente paragonabile ai prototipi maschili avvolti da ampi mantelli spesso riprodotti in disegni di Pittoni
Artista veneto (seconda metà del XVIII secolo), Studio per la figura di un monaco, matita rossa e pastello bianco su carta tinta in ocra chiara; mm 431 x 275, Inv. MD 2008.130.085 Il disegno sembra essere opera dello stesso artista dello Studio di figura maschile (inv. n. MD 2008.130.084), con il quale condivide del resto le medesime antitetiche attribuzioni di Giovanni Testori a Giovanni Battista Tiepolo e di Edoardo Testori a Corrado Giaquinto. Si riconosce lo stesso modo di condurre con una matita rossa larga e morbida il tratteggio, qui un poco più libero e più mosso per la diversità del soggetto, forse la figura di un monaco e probabile schizzo per una composizione più ampia. I due disegni sembrano infine realizzati sullo stesso tipo di carta.
Rosalba Carriera (copia da) (Venezia, 1673 – 1757), Busto di donna con mantello blu, pastelli su carta, applicata su tela e montata su telaio. mm 355 x 295, Inv. MD 2008.130.015 Attribuito da Giovanni Testori a Rosalba Carriera e a un anonimo francese del XVIII secolo da Edoardo Testori, questo disegno è in realtà una copia quasi fedele da un prototipo della Carriera oggi disperso. La resa levigata dell’incarnato contrasta con la più velata e delicata resa epidermica dei ritratti autografi di Rosalba. Appaiono invece privi di volume la definizione della capigliatura e del panneggio blu, che sembra quasi abbozzato. L’allargarsi dell’inquadratura, rispetto al pastello della Carriera, a comprendere il voluttuoso petto rivela una sensualità più robusta e schietta, maturata in tempi diversi, nella seconda metà almeno del XVIII secolo.
Maestro del Ricciolo (metà del XX secolo), Il Canal Grande e Ca’ Pesaro, inchiostro a penna e acquerello su carta, mm 233 x 338, Inv. MD 2008.130.014 La composizione del disegno, attribuito da Giovanni Testori a Francesco Guardi (1712-1793), deriva da un’incisione di Michele Marieschi (1710-1743) tradotta dallo stesso artista e con pochi cambiamenti in un dipinto nel quale la critica è solita riconoscere, nelle svelte figure del primo piano, la mano di Gianantonio Guardi. Il carattere innovativo dell’invenzione di Marieschi, è subito colto da Francesco Guardi, autore di una rilettura in chiave pittorica dell’incisione di Marieschi, in una tela conservata dal 1923 alla National Gallery di Londra. Le varianti apportate da Guardi rispetto all’incisione di partenza si ritrovano anche nel disegno in esame, una copia tarda tratta ‘in stile’ dal dipinto londinese. Particolari grafici come la linea molle e tondeggiante che contorna le figure, i guizzi e i ghirigori che si inseguono per tutto il foglio ad abbozzare gli oggetti, le onde della laguna e persino le nuvole riconducono il foglio alla mano di uno dei più prolifici falsari di Guardi attivi attorno la metà del Novecento, il ‘Maestro del Ricciolo’, così chiamato proprio per il grafismo particolarmente sinuoso del suo tratto. Anche la carta utilizzata, quasi sicuramente ottocentesca rispecchia le scelte di questo maestro.
Luca Cambiaso (copia da) (Moneglia (GE), 1527 – El Escorail, 1585), Danza di putti, penna, inchiostro bruno e acquarello su carta, mm 267 x 422, Inv. MD 2008.130.028 Riferito da Giovanni Testori a Luca Cambiaso, il foglio rivela effettivamente richiami a tipologie cambiasesche ma il confronto con opere autografe del maestro evidenzia significative differenze stilistiche. Il disegno deve essere quindi considerato una copia, tratta verosimilmente da un originale del maestro genovese nel 1597, anno che compare nell’iscrizione apposta sul verso del foglio. La composizione, con otto putti che danzano disposti a cerchio, presenta un ritmo dinamico dato dall’impiego di brevi tratti uncinati a penna che definiscono l’anatomia dei corpi ben torniti, delineati. Una lieve acquarellatura rileva plasticamente le forme, che si staccano dal fondo anche grazie a un tratteggio leggero e sottile.
Luca Cambiaso (copia da) (Moneglia (GE), 1527 – El Escorial, 1585), Sibilla servita da un genio seduta su una nuvola, matita e penna bruna su carta, mm 358 x 247, Inv. MD 2008.130.027 Attribuito da Giovanni Testori a Luca Cambiaso, il foglio è in realtà da considerare una copia fedele derivata dal disegno di analogo soggetto conservato presso l’Art Museum di Princeton, autografo del pittore genovese e databile intorno agli anni Cinquanta del XVI secolo. Le sacerdotesse di Apollo, raffigurate in un variegato campionario di pose, sono protagoniste di un nutrito gruppo di disegni del maestro, che si scalano lungo l’intero arco della prolifica attività grafica dell’artista.
Luca Cambiaso (imitatore di) (Moneglia (GE), 1527 – El Escorial, 1585), San Cristoforo, penna bruna su carta, mm 358 x 262 Inv. MD 2008.130.025 San Cristoforo è qui raffigurato mentre si appresta ad attraversare un fiume trasportando sulle spalle un fanciullo che nelle mani reca un globo. Nonostante la resa enfatica della muscolatura, il suo corpo non acquista volume neppure grazie al fitto tratteggio che dovrebbe contribuire a staccare la figura dallo sfondo. Oltre a questo, anche il carattere del segno, privo della tensione dinamica caratteristica dei lavori autografi di Luca Cambiaso, al quale Testori attribuisce il foglio, portano a scartare il riferimento al maestro genovese. Si tratta di una derivazione da un’invenzione del pittore, non ancora rintracciata, o di un’imitazione del suo stile, in particolare della produzione della prima maturità del Cambiaso, influenzata da modelli michelangioleschi.
Luca Cambiaso (copia da) (Moneglia (GE), 1527 – El Escorial, 1585), Ercole e Anteo, inchiostro bruno a penna e acquerello su carta, mm 416 x 276, Inv. MD 2008.130.020 Nel foglio è raffigurata la lotta concitata tra Ercole, di spalle, riconoscibile grazie alla clava e alla pelle del leone di Nemea che giacciono ai suoi piedi, e Anteo, il gigante figlio di Gea, che tenta di liberarsi dall’abbraccio mortale con cui l’eroe gli impedisce il contatto con il suolo dal quale proviene la sua invincibilità. Il disegno è stato attribuito da Giovanni Testori a Cambiaso, in particolare negli anni intorno al settimo decennio del Cinquecento, quando l’artista si dedica allo studio della figura nello spazio. Tuttavia, il carattere impreciso e scarsamente incisivo del tratto e la stesura approssimativa dell’acquerello inducono a ritenerlo una replica di un autografo non pervenuto del maestro genovese.
Giovanni Battista Paggi (copia da), (Genova, 1554 – 1627), Adorazione dei pastori, penna e inchiostro seppia su carta, mm 270 x 223, Inv. MD 2008.130.024 Il foglio presenta al centro il gruppo della Vergine con il Bambino; le figure ai lati introducono una scena gremita, in cui i personaggi scalati su diversi piani di profondità e i solidi geometrici in scorcio inseriti in primissimo piano cercano di conferire profondità alla composizione. Sebbene alcuni elementi richiamino il tratto di Luca Cambiaso, a cui Testori attribuisce il foglio, l’impaginazione articolata della scena e la presenza di caratteristiche sigle stilistiche si accostano invece a certe prove grafiche di Giovanni Battista Paggi. In particolare, è stringente il confronto con un disegno di analogo soggetto attribuito all’artista conservato al Blanton Museum of Art dell’Università del Texas. Le debolezze e le incoerenze nella conduzione del segno a penna fanno tuttavia ritenerlo una copia di uno dei rapidi schizzi del Paggi.
Francesco Mazzola detto il Parmigianino (maniera di) (Parma, 1503 – Casalmaggiore, 1540), Gioco di putti o amorini (recto) Studio per cavallo (verso), sanguigna su carta, mm 213 x 236, Inv. MD 2008.130.077 Il disegno è riferibile alla cultura emiliana della prima metà del Cinquecento. In particolare, la tipologia dei putti e l’impiego della matita rossa ricordano le opere di Parmigianino: la sicurezza del contorno, il delicato sfumato ed i lunghi tratteggi sullo sfondo si ritrovano infatti in diversi disegni del maestro di Parma. Stingente è l’affinità tra il putto in piedi a sinistra con quello disegnato nella stessa posizione nel recto del foglio, conservato a Berlino, Staatliche Museen, e considerato preparatorio per gli affreschi della Rocca di Fontanellato. Rispetto al foglio tedesco, quello in esame presenta un andamento più posato ed alcune diversità formali che inducono a pensare ad una mano diversa. Della stessa mano è il disegno sul verso, raffigurante uno Studio per un cavallo a matita nera. Si tratta di uno schizzo parziale, mutilo nella parte superiore, in cui un tratto marcato e deciso delinea la parte anteriore di un cavallo visto di profilo.
Artista emilano (metà del XVI secolo), Nettuno e profeta, penna e inchiostro su carta, mm 175 x 223, Inv. MD 2008.130.081 Il disegno è stato attribuito da Giovanni Testori a Pellegrino Tibaldi (Puria di Valsolda, 1527-Milano, 1596) per l’ostentata definizione muscolare delle figure, che ricorda la grafica di Tibaldi e dei suoi seguaci. Il foglio in esame appare però privo della resa plastica e della freschezza d’esecuzione caratteristica del Tibaldi. I contorni sono definiti con un tratto di penna pesante, quasi incerto, che rende difficile riconoscere un ambito geografico di provenienza per l’autore del disegno, forse da ricercare in area bolognese o emiliana. È certa invece l’influenza di modelli di stampo raffaellesco alla base della composizione.
Biagio Pupini (Bologna, documentato dal 1511 al 1575), Sfida musicale tra Apollo e Pan, penna, acquerello e guazzo su carta, mm 132 x 221, Inv. MD 2008.130.030 La scena, tratta delle Metamorfosi di Ovidio, ricalca lo schema di uno dei riquadri del fregio della stanza di Ovidio in Palazzo Te a Mantova, di cui all’Albertina di Vienna si conserva il cartone preparatorio realizzato da Giulio Romano. Secondo la critica più recente il disegno presenta i caratteri dello stile grafico del bolognese Biagio Pupini, formatosi sulle opere di Francesco Francia, e poi sulla pittura di Raffaello e della sua cerchia, conosciuta sia a Bologna che nei cantieri romani. Oltre a questo, Pupini è influenzato da Polidoro da Caravaggio - in particolare per l’uso di una raffinata trama luministico-chiaroscurale esaltata dall’uso abbondante della biacca - da Parmigianino e da Giulio Romano. All’interno del corpus grafico del Pupini si contano numerose copie di opere di maestri a lui coevi, alcune delle quali derivate, come il foglio in esame, da Giulio Romano.
Bartolomeo Passarotti, cerchia di (Bologna, 1529 – Roma, 1592), Ritratto del duca Federico da Urbino, penna e inchiostro metallico su carta, mm 313 x 238, Inv. MD 2008.130.033 Il disegno è facilmente riconducibile all’ambito di Bartolomeo Passarotti, pittore e incisore bolognese, il cui caratteristico modo di disegnare venne variamente imitato e copiato. In particolare, il suo nome è legato ai numerosi ritratti conservati fin dal Cinquecento nelle più importanti collezioni, la maggior parte dei quali, tra quelli eseguiti su carta, si presentano come opere finite, come nel caso del foglio in esame. Senza l’iscrizione lungo il margine inferiore, che appare coerente e contemporanea al disegno, sarebbe difficile riconoscere in questo ritratto Federico da Montefeltro (1422 –1482), noto per il profilo imponente del suo naso, qui eliminato a favore di una più idealizzata restituzione della sua figura. Il disegno si caratterizza per la sicurezza e la vitalità dei numerosi brevi tratti che si incrociano fra loro a creare l’effetto di chiaroscuro. Confrontandolo con altri fogli autografi di Passarotti si nota che il segno è qui più spesso e il profilo dell’uomo ha un contorno molto marcato, che l’artista non impiegava quasi mai: sembra dunque più plausibile un’attribuzione ad un artista molto vicino a Bartolomeo Passarotti.
Ventura Passarotti (Bologna, 1560 – 1618), Figura seduta di spalle, inchiostro a penna su carta, mm 391 x 256, Inv. MD 2008.130.061 Il disegno, eseguito a penna secondo la tecnica caratteristica di Bartolomeo Passarotti, utilizzata anche dai suoi figli e per lungo tempo imitata, è un autografo di Ventura Passarotti, esemplato su quello del padre conservato al Louvre, secondo la consuetudine del lavoro e dello studio diffusa nelle botteghe degli artisti. Rispetto a quello del Louvre, il foglio presenta una maggiore finitezza nella composizione ma soprattutto differisce per la presenza, in basso a destra, di una scritta in cui si legge: «Ventura | Passaroto | Malvasia par. 2 folio 240». Si tratta di un riferimento bibliografico molto preciso alla Felsina Pittrice di Carlo Cesare Malvasia in cui, alla pagina 240 della Parte Seconda, inizia la biografia di Ventura Passarotti. Mentre nel riferimento bibliografico sarebbe riconoscibile la grafia di Padre Sebastiano Resta, famoso collezionista, che era solito annotare in questo modo i disegni, il nome dell’autore è invece scritto con lo stesso inchiostro utilizzato per tracciare il disegno e lo spazio entro cui è inserito è perfettamente coerente con la composizione.
Ludovico Carracci (?) (Bologna, 1555 – 1619), Studio per Profeta Isaia, matita nera morbida (o carboncino?) e pastello bianco su carta cerulea vergata, controfondata, mm 365 x 280, Inv. MD 2008.130.098 Si tratta del disegno preparatorio per la figura del Profeta Isaia affrescata nella Cappella Gessi nella chiesa di San Bartolomeo sul Reno (già Santa Maria della Pioggia) a Bologna. La decorazione della cappella è uno dei nodi critici ancora irrisolti riguardanti l’attività bolognese dei Carracci: affidata a Ludovico, Agostino e Annibale Carracci, comprendeva una pala d’altare, due dipinti per le pareti laterali e gli affreschi. Sfortunatamente, durante la Seconda guerra mondiale i due laterali andarono distrutti, mentre la pala e gli affreschi vennero gravemente danneggiati, impedendone una chiara lettura per l’attribuzione e la datazione. Le due figure dei profeti affrescate sono di attribuzione discussa fra Agostino e Ludovico. Confrontando il disegno relativo a Isaia con l’affresco, le differenze formali appaiono minime e la forza e la sicurezza del tratto sono tipiche di un grande maestro, così come la complessità della costruzione dell’intera figura. Nonostante l’attribuzione ad Agostino sembri plausibile, le volumetrie, il panneggio, i contorni marcati e la muscolatura esagerata inducono gli studi più recenti a pensare invece a Ludovico come autore di questo disegno.
Artista emiliano (prima metà del XVII secolo), Studio per figura di pastore, sanguigna o matita rossa, mm 446 x 293, Inv. MD 2008.130.005 Il disegno, eseguito a matita rossa, appartiene chiaramente alla scuola emiliana entro la prima metà del Seicento. Più difficile è identificare il soggetto, forse uno studio preparatorio per un San Giovanni Battista in atto di battezzare Gesù Cristo, oppure uno studio per una figura di pastore, destinato ad una più ampia composizione. L’anatomia esasperata unita al forte chiaroscuro richiamano i disegni dell’ambiente bolognese vicino all’Accademia dei Carracci. Purtroppo, in mancanza di riscontri precisi con opere grafiche e pittoriche, non è possibile attribuire il disegno ad alcun artista. Per la disarmonia delle forme e l’attenzione ai valori tonali può essere posto in relazione, come già suggerisce Edoardo Testori, con i disegni eseguiti a carboncino o matita da Pietro Faccini, ma il segno grafico sembra essere posteriore al 1601, anno della morte di questo artista.
Guido Reni (copia da) (Bologna, 1575-1642), Il carro di Aurora, sanguigna o matita rossa su carta bruno-ocra chiara vergata, controfondato, mm 165 x 386, Inv. MD 2008.130.043 Il disegno è una copia molto precisa del famoso affresco dell’Aurora dipinto da Guido Reni nel Casino di Palazzo Rospigliosi a Roma, nel 1614. Al centro vi è il carro di Apollo circondato dalle figure delle Ore e preceduto dall’Aurora, sopra i cavalli vola Phosphoros, mentre in basso a destra è raffigurato un paesaggio marino. È difficile individuare l’autore del disegno, considerando la fortuna ottenuta dall’affresco presso il pubblico e gli artisti fino a Ottocento inoltrato. Riguardo la cronologia si può ipotizzare una datazione intorno alla seconda metà del Settecento, per la maggiore idealizzazione dei personaggi raffigurati.
Giovanni Francesco Grimaldi (Bologna, 1606 – Roma, 1680), Paesaggio fluviale con figure, penna bruna e acquarello grigio-azzurro su carta composta da due fogli, mm 322 x 509, Inv MD.2008.130.009 Il suggestivo disegno, di considerevoli dimensioni, è composto da due fogli uniti nella mezzeria lungo il lato maggiore. La scena è ambientata in un paesaggio idilliaco di ampio respiro illuminato in lontananza dai raggi del sole al tramonto. Sapientemente impaginato nella struttura compositiva e bilanciato nella distribuzione dei vari elementi naturalistici, il disegno riflette la cultura di stampo classicista caratteristica della scuola dei Carracci, in particolare di Annibale, Uno dei maggiori interpreti dei suoi insegnamenti è Giovanni Francesco Grimaldi, pittore e architetto, nato a Bologna nel 1606 e trasferitosi a Roma nel 1627. L’ipotesi, avanzata da Edoardo Testori, di attribuire a lui questo disegno appare alla critica recente la più convincente. Il forte legame con la cultura carraccesca del foglio suggerisce una datazione alla prima maturità del maestro, intorno al quinto decennio del '600.
Cerchia di Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino (Cento (FE), 1591 – Bologna, 1666), Studio per figura femminile seduta, inchiostro bruno a penna e acquerello su carta, controfondato, mm 217 x 163, Inv. MD 2008.130.011 L’antica scritta sul verso, di grafia ottocentesca, indica come autore del disegno Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino, e tale attribuzione venne in seguito confermata da Giovanni Testori. Indubbiamente riconducibile alla tecnica e allo stile grafico guercinesco, la critica recente non ritiene che foglio possa essere attribuito al grande maestro di Cento: il disegno appare troppo debole e semplificato, anche se eseguito con uno stile accurato e raffinato. L’artista che ha eseguito questo disegno conosceva bene le opere del Guercino: la posa della figura femminile si ritrova molto simile in alcuni fogli del maestro. Studi recenti ipotizzano che l’autore possa essere Cesare Gennari (1637-1688), pittore, disegnatore e nipote di Giovan Francesco Barbieri.
Elisabetta Sirani (Bologna, 1638 – 1665), Studio per testa femminile con turbante, matita e acquerello bruno su carta vergata, controfondato, mm 71 x 67, Inv. MD 2008.130.006 Questo piccolo foglio è riconducibile, sulla base degli aspetti tecnici e formali, all’opera di Elisabetta Sirani. Educata all’arte da suo padre, Giovanni Andrea, l’allievo prediletto di Guido Reni, Elisabetta nel corso della sua breve carriera realizza più di duecento tele, oltre a quindici incisioni e innumerevoli disegni. In questo foglio, tipico del suo stile grafico, rapidi segni a matita delineano i tratti principali della figura, ovvero le spalle, il profilo del collo e della testa e l’anatomia del volto, e ad essi si sovrappongono le macchie acquerellate a creare un forte chiaroscuro. Il volto femminile qui raffigurato non trova nessun riscontro puntuale nei dipinti o nelle incisioni realizzate dalla Sirani, ma può essere accostato a due dipinti: la Sibilla della Pinacoteca Nazionale di Bologna e l’Allegoria della Musica in collezione privata.
Artista bolognese (prima metà del XVII secolo), Studio per volto femminile in estasi, sanguigna e pastello bianco su carta bruna vergata, mm 139 x 102, Inv. MD 2008.130.054 Il disegno raffigura un volto di donna con lo sguardo rivolto verso l’alto, il capo leggermente inclinato e coperto da un velo, probabilmente preparatorio per la figura di una Vergine addolorata o di una santa martire. La tecnica esecutiva a matita rossa e pastello bianco permette di inserirlo nell’ambiente bolognese negli anni intorno al 1650. In particolare, i lineamenti del viso richiamano la tipologia dei volti femminili disegnati e dipinti da Guido Reni e Domenichino, caratterizzati dall’eleganza, dal grafismo lineare e dal forte patetismo dell’espressione.
Artista emiliano (XVII secolo), Ercole e Anteo (recto) Studio per volto femminile (verso), sanguigna o matita rossa e pastello bianco su carta vergata, mm 443 x 260, Inv. MD 2008.130.048 Il disegno è da riferire ad un anonimo artista dalla complessa cultura: se la matrice è indubbiamente emiliana, l’opera rivela anche influenze romane e nordeuropee. Il modello è la scultura in bronzo realizzata da Stefano Maderno (1576 – 1636) all’inizio degli anni Venti del Seicento, della quale si conservano diversi esemplari in Italia e all’estero. Grazie al recente restauro, è ora visibile il disegno presente sul verso che raffigura uno Studio per volto femminile fortemente scorciato. Esso è realizzato con la medesima matita rossa utilizzata sul recto.
Artista emiliano (?) (seconda metà del XVII secolo), Testa di fanciullo, sanguigna o matita rossa su carta vergata, controfondato, mm 112 x 93, Inv. MD 2008.130.069 Si tratta di una copia molto fedele del Gesù Bambino dipinto da Correggio nel Riposo durante il ritorno dall’Egitto ovvero la Madonna della scodella (1528-1530). Non è facile individuare con precisione la mano del copista: l’uso della matita rossa e la tecnica esecutiva, che si inserisce nella tradizione iniziata da Camillo Procaccini, fanno pensare ad un maestro dell’Italia settentrionale, probabilmente emiliano. Gli stessi elementi permettono di ipotizzare una datazione intorno alla seconda metà del Seicento. Non è però da escludere che il copista si sia avvalso di una stampa raffigurante il dipinto del Correggio che, proprio a partire dal XVII secolo, venne riprodotto diverse volte.
Artista emiliano (seconda metà del XVII secolo), Testa di fanciullo, sanguigna su carta, mm 210 x 168, Inv. MD 2008.130.070 L’attribuzione a Simone Cantarini (1612-1648), indicata sul verso del foglio e sostenuta da Giovanni Testori, non risulta convincente. Il disegno è sicuramente da ricondurre all’ambiente emiliano-bolognese, ma in esso non si ritrova il caratteristico tratto rapido e spezzato dei disegni del Pesarese. Inoltre, l’idealizzazione di questo ritratto fa supporre una datazione successiva, nella seconda metà del XVII secolo. Nonostante alcune imprecisioni nella descrizione anatomica del volto, il tratto testimonia una certa sicurezza di esecuzione, così come le ombreggiature ottenute con lunghi e precisi segni paralleli uniti ad un raffinato effetto sfumato.
Artista emiliano (XVIII secolo), Ritratto di giovane donna, sanguigna o matita rossa e matita con tracce di pastello bianco su carta vergata, controfondata, mm 279 x 233, Inv. MD 2008.130.093 Il disegno proviene dalla collezione del conte Alessandro Maggiori (1764-1834) costituita in gran parte da disegni di parti del corpo umano, come teste, mani e gambe, e da figure all’antico. La testa femminile qui raffigurata si inserisce perfettamente nelle scelte del collezionista, in quanto espressione di quell’ideale classico sviluppatosi nella pittura emiliana a partire dal Cinquecento. L’uso della matita rossa, che traccia il disegno secondo una sapiente modulazione del chiaroscuro, unito a quei rapidi tocchi a matita nera, in corrispondenza delle pupille, della parte posteriore del turbante e del collo, e a quell’aria sofisticata, di diretta derivazione parmigianinesca, sembrano indicare la provenienza emiliana dell’artista.
Artista bolognese (XVIII secolo), Nudo maschile seduto, sanguigna o matita rossa su carta bruno-ocra chiaro vergata, mm 184 x 120, Inv. MD 2008.130.053 I numerosi fogli con studi finiti di nudo, in gran parte maschile, sono spesso riconducibili all’ambiente bolognese, dove il disegno al naturale ha una grande tradizione, ed in particolare a quello dell’Accademia Clementina (1710-1803). Il disegno raffigura un giovane visto frontalmente, seduto con la gamba destra piegata, mentre la sinistra si perde oltre i confini del foglio, la torsione del busto verso destra contrasta con la testa rivolta a sinistra conferendo alla composizione movimento e dinamicità. La figura emerge dallo sfondo grazie ad un sapiente gioco di luci ottenuto con un tratteggio incrociato più o meno fitto o con zone lasciate bianche.
Sebastiano Galeotti (Firenze, 1675 – Mondovì, Cuneo,1741), Assunzione della Vergine, penna e acquerello magro su carta tinta al recto in ocra chiaro, mm 310 x 260, Inv. MD 2008.130.097 Questa pregevole prova grafica si inserisce nel ricco corpus dei disegni noti di Sebastiano Galeotti, educato a Firenze e poi a Bologna. Trasferitosi dal 1710 a Piacenza, Galeotti si sposta in diverse città del Nord Italia, da Lodi a Milano a Genova, e soprattutto a Parma, a partire dal 1714. Una scritta antica sul verso del foglio sembra indicare che il disegno sia preparatorio per la decorazione della cupola nell’oratorio della Beata Vergine delle Grazie (1714-1715), a Parma. Il disegno potrebbe essere infatti un primo schizzo per l’Assunzione della Vergine nella cupola, poi variato in corso d’opera. Stilisticamente la datazione del disegno non deve discostarsi molto, in ogni caso, dagli anni di realizzazione dell’affresco. L’eco dello stile di Alessandro Gherardini, il primo maestro del Galeotti, è ancora avvertibile negli scorci delle figure, mentre il senso prospettico, l’attenzione per la resa cromatica del disegno e per la sensualità della luce rivelano l’impronta dell’educazione bolognese e del soggiorno emiliano del pittore.
Domenico Maria Fratta (Bologna, 1696 – 1763), Due teste di soldati (recto) Diversi schizzi (verso), inchiostro a penna su carta, mm 179 x 129, Inv. MD 2008.130.067 L’esecuzione e lo stile del foglio riconducono indubbiamente alla scuola bolognese del primo Settecento. In particolare, il modo di disegnare mediante sottili tratti a penna è caratteristico di due artisti di quel periodo: Donato Creti (1671-1749) e Domenico Maria Fratta (1696-1763). La matrice di questo piccolo disegno è senz’altro cretiana per il tipo di composizione e per la tecnica esecutiva, ma non presenta la delicatezza, la libertà del tratto e l’essenzialità del chiaroscuro che caratterizzano le invenzioni del maestro. Il segno qui appare fermo e in alcuni punti indeciso, anche se nell’insieme si tratta di un disegno piuttosto raffinato: la critica ritiene quindi di riferirlo agli esordi dell’attività di Fratta.
Artista bolognese (?) (seconda metà del XVIII secolo), Testa di vecchio o di frate, carboncino nero su carta ocra, integrata ai margini, mm 335 x 282, Inv. MD 2008.130.004 I tratti caratteristici del disegno inducono a riferire il foglio alla cultura grafica bolognese del Settecento. Si tratta probabilmente di un artista legato dall’Accademia Clementina, con qualche conoscenza delle esperienze disegnative veneziane di metà secolo. Forse si possono ravvisare le influenze sulla cultura bolognese di secondo Settecento dell’attività di Ubaldo e Gaetano Gandolfi, dopo il loro soggiorno veneto del 1760.
Artista bolognese (XVIII secolo), Studio per volto maschile, sanguigna su carta vergata, mm 304 x 211, Inv. MD 2008.130.013 L’attribuzione a Ubaldo Gandolfi (1728-1781) proposta da Giovanni Testori è stata recentemente messa in discussione a favore di una più generica assegnazione ad artista anonimo bolognese. Si tratta di uno studio accademico, databile alla seconda metà del Settecento, difficilmente riconducibile a una precisa personalità di artista, ma che per le caratteristiche formali e stilistiche si riferisce nell’ambiente bolognese. Ciò che qui sembra interessare all’artista è il modo in cui la luce, proveniente da sinistra, illumina il volto del giovane, così che il delicato tratteggio unito allo sfumato crea un chiaroscuro che contribuisce a levigare la superficie del volto, attenuando la staticità della composizione. Non sembra essere un ritratto idealizzato, piuttosto uno studio dal vero.
Felice Giani (San Sebastiano Curone, 1758 – Roma, 1823), Veduta fantastica di città classica, matita, inchiostro metallico a penna e acquerello su carta vergata con filigrana, mm 288 x 324, Inv. MD 2008.130.076 L’attribuzione del foglio da parte di Edoardo Testori a Felice Giani è confermata dalla critica recente per l’inconfondibile cifra stilistica agile, scattante, il tratto sintetico nell'uso della penna e i raffronti con il corpus grafico dell’artista. In questo disegno di notevole qualità il Giani, mettendo a frutto la sua vena visionaria, dà vita alla veduta fantastica di una città classica, cinta da possenti mura con contrafforti che tagliano in diagonale il campo scenico creando effetti di profondità. Sulla scena, avvolta da un'atmosfera sospesa e sognante, incombe un ampio scorcio di cielo percorso da grandi nubi, delineate con grande abilità con acquarello e penna. L’ipotesi più verosimile di datazione è intorno all'ultimo decennio del '700, quando la cultura di Giani è improntata ad un colto neoclassicismo che fonde citazioni dall'antico con brani di sorprendente creatività visionaria.
Artista centro-italiano (tra terzo e quarto decennio del XVI secolo), Deposizione dalla croce, matita su carta, mm 472 x 287, Inv. MD. 2008.130.038 Si tratta di uno studio preparatorio per una Deposizione di Cristo purtroppo non identificata; Giovanni Testori riferisce il foglio a Daniele da Volterra, mentre Edoardo Testori lo attribuisce a Timoteo Viti, anticipandone l’esecuzione agli inizi XVI secolo. Considerazioni di carattere stilistico e compositivo fanno pensare ad una datazione tra terzo e quarto decennio del Cinquecento. Studi recenti riscontrano in questo disegno debiti nei confronti della Deposizione realizzata da Rosso Fiorentino per la chiesa di San Francesco a Volterra e dell’opera di analogo soggetto che a metà del decennio successivo venne eseguita da Vasari per la Compagnia del Corpo di Cristo di Arezzo. Anche per la presenza di accenti pontormeschi nei volti e nell’angolazione del tracciato grafico, la critica non esclude quindi che l’autore del disegno possa essere toscano, ma di una generazione precedente rispetto agli artisti considerati.
Seguace di Domenico Beccafumi (Marco Pino?) (Siena, 1521 circa – Napoli, 1587), Saturno, tracce di matita, penna e acquerello su carta, mm 244 x 188, Inv. MD 2008.130.039 Il disegno raffigura un imponente dio Saturno, tormentato dai dubbi e dal dolore, mentre, per contrastare la profezia secondo la quale uno dei suoi figli lo avrebbe soppiantato, attende a divorare l’ultimo nato. E’ riferito a Michelangelo Anselmi (1492-1556) da Giovanni Testori, genericamente ad ambito senese da Edoardo Testori che lo data intorno al 1520, e infine da Jean-Luc Baroni a Domenico Beccafumi (1486-1551). Il Saturno è indubbiamente legato alla maniera del maestro senese, ma stilisticamente non può essere considerato fra le sue opere autografe. Il tratteggio e il segno intermittente che delineano il contorno dei corpi, l’idea di movimento e l’agilità grafica che uniscono l’esuberanza di Beccafumi e l’eleganza dei disegni di Perin del Vaga riconducono invece alla produzione di Marco Pino, originario di Siena, allievo di Beccafumi e trasferitosi poi a Roma, o di un artista che, come lui, si forma in ambito beccafumiano, e matura poi sui grandi esempi della pittura romana.
Artista fiorentino (metà del XVI secolo), Studio per Cristo risorto, matita su carta, controfondato, mm 350 x 200, Inv. MD 2008.130.089 L’antica scritta sul verso del foglio collega questo disegno alla basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma, in particolare al noto Cristo Risorto scolpito da Michelangelo tra il 1519 ed il 1520. Il delicato sfumato del modellato e la sinteticità del tratto nel delineare il volto e le gambe che caratterizzano questo disegno permettono di avvicinarlo all’ambiente fiorentino della metà del Cinquecento. Particolari sono i lunghi tratti utilizzati nel contorno e, soprattutto, nell’ombreggiatura vicino alla gamba destra: questo tipo di tratteggio si ritrova nei disegni di Giovanni Battista Naldini (c. 1537-1591), allievo di Jacopo Pontormo e in seguito collaboratore di Giorgio Vasari.
Giovanni Stradano (copia da) (Bruges, 1523 – Firenze, 1605), Battaglia di Marciano, inchiostro bruno a penna, acquarello, colore bianco a guazzo su carta, contro fondato, mm 274 x 407, Inv. 2008.130.049 Nel foglio è illustrato lo scontro che ebbe luogo il 2 agosto 1554 in val di Chiana, nei pressi del castello di Marciano, tra l’esercito franco-senese, al comando di Piero Strozzi, e le truppe fiorentine capitanate da Gian Giacomo Medici. Il disegno, in precedenza attribuito a Taddeo Zuccari da Giovanni Testori, è stato riferito da Baroni allo Stradano. L’ambito è confermato anche dalla critica recente, ma non la paternità del foglio: differenze di carattere sia stilistico che compositivo fanno infatti pensare che si tratti di una copia dell’incisione della Battaglia di Marciano dello Stradano conservata delle collezioni reali di Windsor.
Federico Zuccari (Sant’Angelo in Vado, Urbino, 1541/42 – Ancona, 1609), Figura maschile seduta affiancata da un ragazzo, matita nera e tracce di gesso bianco su carta azzurra, quadrettato per il trasferimento, mm 330 x 220, Inv. MD 2008.130.073 Il disegno costituisce il modello per la figura di un povero affiancato da un ragazzo, appena accennato, collocati in primo piano a sinistra nell’affresco con Il matrimonio della Vergine realizzato da Federico Zuccari nel 1583 sulla parete di sinistra della cappella dei Duchi di Urbino nella Basilica della Santa Casa di Loreto, scena fra le più significative per complessità compositiva e ricchezza di invenzioni figurative. Una serie di studi preparatori per le figure della Vergine e Giuseppe indicano come l’artista avesse tratto ispirazione dal mondo quotidiano, come conferma anche questo disegno di figura maschile dalla folta barba e dal turbante, poi tradotta fedelmente nella redazione ad affresco nei minimi dettagli chiaroscurali, insieme alla figura di giovane che l’affianca, qui appena suggerita. La macchia di ombra sulla sinistra lascerà il posto a un’ulteriore figura di uomo barbuto. Questo foglio, per tecnica e definizione, costituisce quasi un unicum nell’intera produzione disegnativa nota di Federico Zuccari.
Artista centro-italiano (prima metà del XVII secolo), Nudo maschile, tracce di matita e inchiostro a penna su carta; mm 292 x 163, Inv. MD 2008.130.040 Il soggetto del disegno riprende un’esercitazione tra le più comuni in ambito accademico tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento. Disegni analoghi, con infinite varianti, trovano ampia diffusione non solo a Firenze, ma anche a Roma e nell’accademia bolognese nel corso di tutto il Seicento. L’arcaismo del tratto, ancora tardo manierista, farebbe collocare il disegno entro i primi decenni del Seicento.
Artista toscano della metà del XVII secolo, Studio per testa di giovane, sanguigna su carta, controfondato, mm 184 x 120, Inv. MD 2008.130.035 La testa di giovane qui raffigurata rivela nella mancanza del disegno delle pupille degli occhi la sua derivazione dalla statuaria. In particolare, il collo così allungato e la sua torsione così caratteristica fanno pensare che l’artista si sia ispirato al ritratto di Giuliano de’ Medici, scolpito da Michelangelo tra il 1521 ed il 1533 per la Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze. L’autore dovrebbe quindi essere un artista toscano, o comunque attivo a Firenze intorno alla metà del XVII secolo, come denota lo stile grafico.
Matteo Rosselli (attr.) (Firenze, 1578 – 1650), Studio di figura di giovinetto, sanguigna su carta, mm 163 x 138, Inv. MD 2008.130.001 Il foglio reca un’attribuzione ad Andrea Del Sarto, da scartare, e una, più convincente, ad anonimo fiorentino dell’inizio del XVII secolo. Le sottili modulazioni chiaroscurali che delineano il giovane, che con piglio fiero si rivolge allo spettatore, e il segno soffice e sfumato a sanguigna con il quale sono indagate le morbide pieghe dell’abito suggeriscono una collocazione cronologica nella prima metà del Seicento. L’artista sembra infatti aggiornato sui nuovi orientamenti introdotti nel panorama artistico della capitale medicea in particolare dal Cigoli e dal Pagani. Grazie a confronti stilistici con prove grafiche di Matteo Rosselli, la critica recente propone un’attribuzione a tale maestro o ad un artista appartenente alla sua cerchia.
Jacopo di Chimenti da Empoli (Firenze, 1551 – 1640), San Giovanni Apostolo, sanguigna su carta, mm 395 x 212, Inv. MD 2008.130.042 Il foglio è stato attribuito da Giovanni ed Edoardo Testori rispettivamente a Ludovico Cardi e Matteo Rosselli, e genericamente all’ambito fiorentino di primo Seicento dal Baroni. La critica recente scioglie il nodo attributivo in favore di Jacopo da Empoli, grazie al confronto con la pala raffigurante la Consegna delle chiavi a san Pietro in Santa Trinita a Firenze. Decisivo appare difatti il confronto tra la figura ammantata tracciata a sanguigna con il capo leggermente inclinato, la bocca appena dischiusa e le mani giunte all’altezza del ventre, e la figura del giovane apostolo che è spettatore insieme ai compagni della consegna delle chiavi del regno dei cieli da parte di Cristo a san Pietro, genuflesso sul proscenio.
Artista toscano (fine XVII – inizio XVIII secolo), Nudo che suona il flauto, Matita rossa (o sanguigna?) su carta, controfondato, mm 415 x 265, Inv. MD 2008.130.079 Attribuito da Giovanni Testori al fiorentino Jacopo Chimenti detto l’Empoli (1554 circa - 1640), il foglio secondo la critica recente presenta qualche vago rimando ai disegni di Baldassarre Franceschini detto il Volterrano (1611-1689), uno degli artisti più moderni e originali del Seicento fiorentino. Il disegno potrebbe essere opera di un artista forse influenzato in qualche modo dal Volterrano, ma che presenta uno stile più libero nel segno, sfrangiato nei contorni, e una modulazione anatomica robusta che punta già verso le soluzioni di gusto barocchetto di primo Settecento.
Bottega di Raffello (Bartolomeo di David?) (Siena, 1482 – 1545/6), Angelo, sanguigna su carta tinta di color rosa, controfondato, mm 166 x 95, Inv. MD 2008.130.050 Attribuito al Pontormo da Giovanni Testori, il foglio deve essere ricondotto all’ambito raffaellesco alla luce del confronto con il ciclo decorativo di Raffaello del secondo piano delle Logge dei Palazzi Vaticani a Roma. La scarsa incisività dei tratti sinuosi che fissano i contorni della figura e la mancanza di risalto plastico portano gli studi più recenti ad escludere la paternità del Sanzio e ad attribuire lo studio preparatorio ad uno degli artisti gravitanti nella sua bottega, forse Bartolomeo di David, a cui è riferita l’esecuzione degli ornamenti che incorniciano i riquadri narrativi della prima e della tredicesima campata delle Logge.
Raffaello Sanzio (copia da) (Urbino, 1483 – Roma, 1520), Adorazione dei Magi, Inchiostro a penna, acquarello e biacca (o guazzo bianco) su carta, mm 219 x 333, Inv. MD 2008.130.068 In precedenza attribuito a Garofalo da Giovanni Testori, il foglio fu giudicato una copia sia da Baroni che da Edoardo Testori. Il prototipo di riferimento è uno dei riquadri affrescati, il ciclo pittorico dedicato agli episodi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento che il Sanzio nella seconda metà degli anni dieci del Cinquecento concepì ed eseguì al secondo piano delle Logge Vaticane, facendo largo ricorso alla bottega. Nell’Adorazione dei magi, della tredicesima campata della Loggia, la critica riconosce stile di Giovanni da Spoleto. Nel corso dei restauri, sul verso del disegno sono emerse due iscrizioni nelle quali si leggono il nome del maestro urbinate e la data 17 settembre 1629 (?), momento in cui presumibilmente fu tratta la copia ora al Museo Diocesano.
Ottavio Leoni detto il Padovanino (Roma, 1578 – 1630), Autoritratto, matita nera, matita rossa, gesso naturale su carta cerulea fotodeteriorata, mm 228 x 148, Inv. MD 2008.130.021 Lo stile disegnativo e le caratteristiche formali riconducono il foglio a Ottavio Leoni, a cui fu attribuito già da Giovanni ed Edoardo Testori e da Baroni. L’apprezzato ritrattista si impone sulla scena artistica romana dei primi decenni del XVII secolo con ritratti in cui, superando l’impostazione tardomanieristica, si concentra sulla definizione dei volti, abbozzando solo rapidamente le vesti, nel tentativo di restituire in modo puntuale le fisionomie e le attitudini psicologiche dei suoi modelli. In questo filone si inserisce il ritratto in esame, dal taglio compositivo non convenzionale, quasi un’istantanea in cui viene fissata la rapida rotazione del capo di un uomo, in cui si riconosce l’autoritratto dell’artista, che rivolge il proprio sguardo in direzione dello spettatore; la bocca è leggermente dischiusa e il mantello, reso con un morbido effetto pittorico, nasconde quasi per intero la croce dell’Ordine dei Cavalieri di Cristo tratteggiata in rosso all’altezza della spalla.
Gian Lorenzo Bernini (o copia da?) (Napoli, 1598 – Roma, 1680), Testa di David, matita rossa e gesso bianco su carta, mm 135 x 98, Inv. MD 2008.130.031 La scritta a matita sul verso suggerisce l’attribuzione a Gian Lorenzo Bernini con la quale il foglio è entrato in collezione Sozzani. La specifica «studio per il pastore» riconduce lo schizzo alla celebre statua del David (il pastore israelitico della tradizione biblica), realizzata da Bernini tra il 1623 e il 1624 per il cardinale Scipione Borghese. Alcuni particolari inducono grande cautela nel considerare il disegno come copia: il sintetismo del tratteggio richiama infatti effetti scultorei non di semplice imitazione e inconsueta per una copia è anche la dimensione del foglio, estremamente piccolo, di una misura simile a quello su cui Bernini ha tracciato lo schizzo, conservato alla Stadtbibliothek di Lipsia, per il Ratto di Proserpina, altra commissione Borghese di poco precedente il David. L’inclinazione della testa è poi diversa rispetto alla statua, facendo pensare più a uno studio che a una copia. Considerate le lacune sulla grafica di Bernini, che consta a oggi di pochissimi fogli certi, si potrebbe tenere per il foglio l’ipotesi di autografia, sostenuta anche da Giovanni Testori.
Artista napoletano (?) (metà del XVII secolo), Testa di guerriero, matita rossa su carta, mm 251 x 184, Inv. MD 2008.130.041 Il disegno si presenta fortemente sbiadito: potrebbe trattarsi di una controprova, ovvero di una copia ottenuta applicando un foglio umido all’originale, anch’esso inumidito, e in alcuni casi rifinita a mano. In questo modo si ottiene una riproduzione ribaltata e sbiadita del disegno di partenza, a sua volta impoverito dal processo di duplicazione. Il disegno si inserisce nella cultura napoletana di metà Seicento o poco prima: più che a Salvator Rosa, cui lo attribuisce Testori, la critica recente pensa a Aniello Falcone (1607-1656). L’influenza di Ribera, maestro dell’artista, è evidente in quasi tutti i disegni noti di questo artista, che, nelle sue prove grafiche è sempre sensibile agli effetti pittorici, attraverso giochi di chiaroscuro di estrema eleganza, evidenti anche nel disegno in esame.
Artista napoletano (?) (prima metà del XVII secolo), Testa di uomo con cappello e mano poggiata alla guancia (recto) Studio di mano (verso), realizzato con un tratto molto leggero di matita, matita su carta, mm 139 x 99, Inv. MD 2008.130.022 Questa testa di giovane assorto in pensieri malinconici, realizzata con un tratto molto leggero di matita, sembra da ricondurre genericamente all’ambito della pittura napoletana del primo Seicento. Confronti solo formali si possono istituire, per esempio, con la tipologia di alcune teste di giovani e fanciulli realizzate da Battistello Caracciolo (1578-1635). Durante il recente restauro, la rimozione del controfondo ha portato alla luce, sul verso, un disegno che non sembra potersi attribuire allo stesso artista della testa sul recto, ed è forse più tardo.
Artista napoletano (?) (1630 – 1650), Angeli, penna su carta, controfondato, mm 236 x 190, Inv. MD 2008.130.002 Il disegno è entrato nella raccolta Sozzani con l’attribuzione a Luca Giordano (1634-1705), per la presenza della firma «Lucas Jordanus» ben visibile nell’angolo inferiore destro del foglio. L’iscrizione in realtà è un’aggiunta più tarda, inserita per nobilitare una prova comunque di alta qualità riferendola al grande artista napoletano. Per quanto riguarda lo stile, l’animata orchestrazione scenica mostra una matrice fortemente cortonesca e un segno svelto e capace, tagliente. La critica recente riferisce il disegno, databile entro la metà del XVII secolo, ad un artista di indubbie capacità, forse di una generazione precedente a quella di Luca Giordano, che può avere avuto modo di vedere i lavori romani di Pietro da Cortona e di subire l’influenza a Napoli delle raffinate prove grafiche di Ribera.
Artista romano (seconda metà del XVII secolo), Condottiero a cavallo, inchiostro a penna, acquerello e rialzi di biacca su carta tinta in grigio-ceruleo, mm 270 x 192, Inv. MD 2008.130.083 Studi recenti riferiscono il foglio, attributo da Testori a Gian Lorenzo Bernini per la presenza di un’iscrizione, all'ambito romano della seconda metà del XVII secolo. Il punto di vista frontale e leggermente ribassato accentua la monumentalità dell'elegante cavallo e quella del condottiero con l'elmo vestito all'antica. L'autore del disegno gioca abilmente con le diagonali, con i movimenti cadenzati dell'andatura del cavallo e con il mantello del guerriero. Il vibrante dinamismo interno alle figure, dato dal tratto agile e sinuoso della penna rialzata da sapienti colpi di biacca e di acquarello grigio, rompe la staticità tipica di queste rappresentazioni auliche che si ispirano, in maniera più o meno puntuale, al celebre modello della statua equestre del Marco Aurelio a cavallo, risalente al 176 d.C.
Artista nordico (seconda metà del XVI secolo), Ritratto d’uomo con berretto, matita e inchiostro a penna su carta, controfondato, mm 317 x 224, Inv. MD 2008.130.023 Riferito da Giovanni Testori a «scuola olandese del XVII secolo», il foglio è invece più pertinentemente assegnato da Edoardo Testori a Tobias Stimmer (1539-1584), artista svizzero, fortemente influenzato dai modi di Holbain il Giovane, capo di una prolifica bottega attiva prima a Sciaffusa e poi a Strasburgo. Sono molti i ritratti di Stimmer, specialista del genere, e del suo seguito che si potrebbero citare a confronto. L’autore di questo disegno presenta un grafismo meno felice e meno risolto rispetto ai finissimi tratteggi di Stimmer. Sotto l’inchiostro, la figura è tracciata con un sottile e particolareggiato disegno a matita, poi ripassato a penna con vigore. Si tratta di un procedimento forse indice di una qualche incertezza nell’esecuzione, che induce a considerare il ritratto come opera di bottega.
Artista lorenese (?) (seconda metà del XVI secolo), Studio per tre figure, penna, inchiostro seppia e leggero guazzo bianco su carta, controfondato, mm 330 x 207, Inv. MD 2008.130.026 Da attribuire a Luca Cambiaso secondo Giovanni Testori, il disegno mostra effettivamente riferimenti alla cultura disegnativa genovese della metà del Cinquecento. Alla matrice cambiasesca si uniscono qui stilemi che sembrano guardare soprattutto ad una certa cultura francese di fine Cinquecento e primo Seicento. È del resto nota l’influenza giocata dal disegno di Cambiaso e dei pittori cambiaseschi anche di seconda generazione sulla pittura francese: le eleganti stravaganze del foglio qui in esame potrebbero esserne un esempio.
Nicolas Lagneau (?) (prima metà del XVII secolo), Ritratto di vecchio, matita nera, pastello, e acquerello su carta, mm 373 x 281, Inv. MD 2008.130.016 Il disegno è stato attribuito da Giovanni Testori e Jean-Luc Baroni a Nicolas Lagneau, pittore francese apprezzato dai contemporanei proprio per i suoi ritratti a pastello, raffiguranti in genere teste fortemente caratterizzate, quasi caricaturali. Sotto il suo nome si sono raccolti in vari musei europei ritratti a pastello di area francese con caratteri stilistici differenti, dalla comune tipologia espressiva: risulta così difficile a volte distinguere gli esemplari autografi. Secondo gli studi più recenti, il Ritratto di vecchio potrebbe però essere considerato un autografo di Lagneau: alcune finezze di esecuzione, come la resa dei baffi e della barba, i radi capelli quasi appiccicati alla fronte traversata da rughe continue, reggono il confronto con i ritratti di vecchi attribuiti con certezza al pittore francese, conservati all’Accademia Albertina di Vienna.
Nicolas Poussin, copia da (Les Andelys, 1594 – Roma, 1665), Mosè salvato dalle acque, matita ed acquarello su carta vergata, mm 121 x 188, Inv. MD. 2008.130.088 Il disegno raffigura l'episodio del salvataggio di Mosè dalle acque del fiume Nilo da parte della figlia del faraone e delle sue ancelle, tema molto diffuso nella pittura francese della seconda meta del XVII secolo. Il disegno va posto in relazione all'opera di Nicolas Poussin: nelle collezioni del Szépmuvészeti Múzeum di Budapest è custodito disegno raffigurante proprio Mosè salvato dalle acque, in diretta relazione al celebre dipinto di medesimo soggetto del Museo del Louvre eseguito dal maestro nel 1647. Il foglio di Budapest fu copiato più volte da seguaci ed imitatori di Poussin i quali, non di rado, introdussero varianti rispetto all’originale. Nel catalogo ragionato dei disegni di Nicolas Poussin, si segnalano quattro copie, a cui v’è da aggiungere quella in esame, molto fedele all'autografo ungherese. Il tratto duro e appesantito, specie nei contorni gessosi delle figure, tipico della mano del copista, fa pensare ad una datazione abbastanza avanzata, verosimilmente all'ultimo quarto del XVII secolo.
Artista fiammingo (?) (prima metà del XVIII secolo), Testa di fanciulla (recto) Mezzo busto con braccia conserte (verso), matita rossa e pastello o gessetto bianco (recto), matita rossa (verso) su carta, mm 255 x 195, Inv. MD 2008.130.055 Riferito da Giovanni Testori ad ambito piazzettesco, il disegno in effetti ripete temi molto praticati anche da Piazzetta e dai suoi seguaci a Venezia, soprattutto nella prima metà del Settecento, come teste di contadini e contadine, di giovani suonatori, di bevitori che guardano alla pittura olandese e delle Fiandre del secolo precedente. Secondo gli studi più recenti, la tecnica utilizzata e la maggiore aderenza a fisionomie di derivazione nordica lasciano supporre che l’autore del disegno possa essere in realtà un artista straniero, forse un anonimo fiammingo che nel XVIII secolo si rifà a modelli di teste di genere più antiche. Il verso del disegno mostra invece un carattere più accademico.
Francisco de Goya y Lucientes (Fuendetodos, 1746 – Bordeaux, 1828) (maniera di), Scena dell’Inquisizione (?), inchiostro a pennello su carta vergata, mm 229 x 168, Inv. MD 2008.130.037 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 168-169
Jacques-Louis David (Parigi, 1748 – Bruxelles, 1825) (attribuito a), Studio di figura (guerriero romano), carboncino e pastelli su carta non vergata con filigrana PM (Fabriano), mm 577 x 443, Inv. MD 2008.130.075 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 170-171
Jean-Auguste-Dominique Ingres (Montauban, 1780 – Parigi, 1867) (attribuito a), Quattro cavalli, matita su carta con filigrana parziale, mm 284 x 435, Inv. MD 2008.130.074 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 172-173
Jean-Louis-Théodore Géricault, (Rouen, 1791 – Parigi, 1824) (attribuito a), Nudo maschile, matita, inchiostro a penna, acquarello e rialzi a biacca su carta vergata, controfondato, mm 132 x 77, Inv. MD 2008.130.056 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 174-175
Jean-Louis-Théodore Géricault, (Rouen, 1791 – Parigi, 1824) (attribuito a), Studi per la Zattera della Medusa (?) (recto) Studi di figure con cane (verso), penna, inchiostro nero, matita e acquarello su carta, mm 175 x 298, Inv. MD 2008.130.072 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 176-177
Jean-Louis-Théodore Géricault, (Rouen, 1791- Parigi, 1824) (attribuito a), Due cavalli nella scuderia, matita e acquerelli su carta da disegno di produzione industriale, mm 254 x 366, Inv. MD 2008.130.087 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 178-179
Jean-Louis-Théodore Géricault, (Rouen, 1791- Parigi, 1824) (attribuito a), Duello di soldati a cavallo , penna e acquarello su carta, mm 240 x 308, Inv. MD 2008.130.086 Il disegno è in corso di studio. Si veda Museo Diocesano. Collezione Sozzani, a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 180-181
Jean-Louis-Théodore Géricault, (Rouen, 1791- Parigi, 1824) (attribuito a), Studio di testa di cavallo e cane, matita e inchiostro metallico su carta vergata, mm 174 x 207, Inv. MD 2008.130.051 Il disegno è in corso di studio. Si veda Museo Diocesano. Collezione Sozzani, a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 182-183
Eugène Delacroix, (Charenton-Saint-Maurice, 1798 – Parigi, 1863) (attribuito a), Scena di battaglia, guazzo bianco e acquerello bruno-scuro su carta tinta bruna non vergata controfondato, mm 208 x 280 circa, Inv. MD 2008.130.052 Il disegno è in corso di studio. Si veda Museo Diocesano. Collezione Sozzani, a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 184-185
Eugène Delacroix (Charenton-Saint-Maurice, 1798 – Parigi, 1863) (attribuito a), Leonessa pronta al balzo, acquerello su carta non vergata, mm 227 x 270, Inv. MD 2008.130.047 Il disegno è in corso di studio. Si veda Museo Diocesano. Collezione Sozzani, a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 186-187
Eugène Delacroix (Charenton-Saint-Maurice, 1798 – Parigi, 1863) (attribuito a), Scena di lapidazione, matita su carta vergata, mm 245 x 306, Inv. MD 2008.130.059 Il disegno è in corso di studio. Si veda Museo Diocesano. Collezione Sozzani, a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 188-189
Antoine Louis Barye, (Parigi 1796 - 1875) (attribuito a), Schizzi con pantere, matita, acquerello e inchiostro su carta bruno-ocra, non vergata, mm 121 x 278, Inv. MD 2008.130.066 Il disegno è in corso di studio. Si veda Museo Diocesano. Collezione Sozzani, a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 190-191
Antoine Louis Barye, (Parigi 1796 - 1875) (attribuito a), Leonessa a riposo, acquerello su carta, mm 117 x 238, Inv. MD 2008.130.080 Il disegno è in corso di studio. Si veda Museo Diocesano. Collezione Sozzani, a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 192-193
Jean-Baptiste-Camille Corot (Parigi 1796 – Ville d’Avray, 1875) (attribuito a), Paesaggio per medaglione, carboncino su carta vergata, controfondato, mm 236 x 222, Inv. MD 2008.130.012 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 194-195
Gustave Courbet (Ornans1819 – La Tour-de-Peilz, 1877) (attribuito a), Onde sul mare, Acquerello su cartoncino inglese, mm 198 x 302, Inv. MD 2008.130.058 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 196-197
Edouard Manet (Parigi, 1832 - 1883) (attribuito a), Figura maschile di gentiluomo con barba e cappello (recto) Studi di figura (verso), Acquarello su carta cerulea non vergata, mm 205 x 177, Inv. MD 2008.130.091 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 198-199
Edgar-Germain Hilaire Degas (Parigi, 1834 - 1917) (attribuito a), Donna con bambino, carboncino e colore bianco a corpo su carta, controfondato, mm 385 x 471, Inv. MD 2008.130.045 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 200-201
Vincent Van Gogh (Zundert, 1853 - Auvers-sur-Oise, 1890) (attribuito a), Autoritratto, matita rossa o sanguigna su carta bruno/ocra chiara vergata, mm 344 x 305, Inv. MD 2008.130.092 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 202-203
Paul Gauguin (Parigi, 1848 – Isole Marchesi, 1903) (attribuito a), Ritratto di giovane donna (recto) Ritratto di signora (verso), matita e acquerello su carta non vergata, (recto e verso), mm 209 x 160, Inv. MD 2008.130.029 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 204-205
Camille Pissarro (Saint-Thomas, Antille,1830 – Parigi, 1903) (attribuito a), Due contadine, carboncino su carta, mm 248 x 197, Inv. MD 2008.130.057 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 206-207
Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 1841 - Cagnes-sur-Mer, 1919) (attribuito a), Pastorella nuda, sanguigna e pastello bruno, mm 382 x 281, Inv. MD 2008.130.082 Il disegno è in corso di studio. Si veda "Museo Diocesano. Collezione Sozzani", a cura di P. Biscottini e G. Bora, Sassi editore, 2014, pp. 208-209
François-Auguste-René Rodin (Parigi, 1840 – Meudon, 1917), Nudo di donna, matita e acquerello su carta non vergata, mm 350 x 240, firmato a matita in basso a destra “Aug Rodin”, Inv. MD 2008.130.046 Questo disegno, corredato da un’autentica di Andrè Pacitti (Parigi 1961) e realizzato con la sicurezza di tratto e una libertà inventiva che contraddistingue la produzione grafica di Rodin, è firmato dall’artista con una doppia sottolineatura secondo una modalità che spesso utilizzava per siglare le sue opere. Diversi sono gli studi dedicati dall’artista al tema del nudo di donna, molti dei quali conservati presso il Museo Rodin di Parigi La datazione dell’opera potrebbe porsi verso la fine dell'attività dell’artista nei primi anni del Novecento, quando la sua produzione grafica presenta il tratto fine, la semplicità della stesura, l’utilizzo di fondi neutri e l'uso frequente dell'acquerello molto diluito, caratteri che si ritrovano anche in questo foglio.
Marcello Dudovich (Trieste, 1868 – Milano, 1962), Nudo femminile disteso e studio di piedi, carboncino, matita rossa e olio o acrilico, su carta color paglierino (in fibra particolare), non vergata, mm 367 x 531, Iscrizione sul verso a matita: “Bripa”, Inv. MD 2008.130.096 Il disegno è opera del cartellonista triestino Marcello Dudovich, la cui firma è stata autenticata nel 1973. Il nudo femminile è un soggetto più volte raffigurato da Dudovich nell’arco della sua lunga carriera, ma quasi esclusivamente nei disegni. È possibile confrontare il disegno in esame con altri tre autografi dell’artista, due conservati al Mart di Rovereto e uno presso la Collezione Pirovano di Segrate (Milano), che raffigurano tutti la stessa donna, sdraiata e vista da tergo con la testa appoggiata su di un cuscino. Quest’opera risulta essere, tra questi, la sola in cui grande attenzione è dedicata alla costruzione della figura, attraverso l’uso della matita rossa, del carboncino e dei colori ad olio. Gli altri tre disegni sono tutti stati datati all’anno 1935: si potrebbe pensare a questa data anche per l’esecuzione di questo esemplare.
Jacques Lipchitz (Druskininkai, 1891 – Capri, Napoli, 1973), Studio per scultura, carboncino su carta non vergata con filigrana, mm 468 x 649, firmato in alto a sinistra: “Jlipchitz”, Inv. MD 2008.130.095 Il disegno è confluito nella Collezione Sozzani, ora al Museo Diocesano, dalla Galleria Marlborough di Roma ed è corredato da un’autentica autografa di Jacques Lipchitz del 1973, in cui è datato al 1968. Jacques Lipchitz, nato in in Lituania da famiglia ebrea, studia a Parigi, dove entra in contatto con il gruppo dei cubisti, in particolare con Gris, Modigliani e Soutine. Il legame con questi artisti è fortemente presente nelle opere dal 1913 al '30. A partire dal 1930 Lipchitz affronta temi biblici e temi legati alla maternità: le forme assumono volumi pesanti, con figure caratterizzate da masse ben costruite. A questo periodo creativo può essere riferito il carboncino in esame, che rappresenta una figura in ginocchio che stringe a sé il bambino, piegando il capo in un gesto di grande intimità, in contrasto con la pesantezza del tratto e delle forme, racchiuse in un volume compatto. Solo nella posizione delle gambe la figura si apre allo spazio, conferendo una forte energia comunicativa all’intera composizione
Léonor Fini (Buenos Aires, 1908 – Trieste, 1996), Donna e gatto, china su carta da notes senza vergatura, mm 310 x 231, firmato in basso a destra: “Leonor Fini”, Inv. MD 2008.130.010 Pittrice, disegnatrice e scenografa, Léonor Fini si trasferisce dall'Argentina a Milano e più tardi a Parigi, dove entra in contatto con il movimento artistico surrealista. La sua produzione comprende una serie di ritratti, ma lavora anche nel campo della moda e come scenografa in teatro. E' nota per la sua passione per i gatti persiani: il gatto, identificato con la sfinge, simbolo di ambiguità, di mistero, di creatura dalla duplice natura, donna e felino, è un tema ricorrente nell'iconografia dei surrealisti In questo disegno, di difficile datazione, Léonor Fini usa un segno grafico leggero, continuo, facendo emergere con pochi tratti la figura femminile da uno sfondo senza alcuna connotazione. L’opera potrebbe essere uno dei “disegni automatici” che l’artista realizza a Parigi dopo il 1933, dopo essere entrata a far parte del gruppo surrealista di Breton: la simbologia, intesa in termini onirici e fantastici, della donna e del gatto si risolve qui in un delicato ed elegante segno.
Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé, 1899 – Comabbio, Varese, 1968), Nudo femminile, penna a sfera su carta color paglierino, non vergata, mm 267 x 204, Inv. MD 2008.130.094 Riferibile al 1946, come si legge nella firma, in basso a destra, e come conferma l’etichetta della Galleria dell’Ariete, dove fu acquistato, il disegno in esame può essere ricondotto a un momento rilevante nella carriera dell’artista legato allo sviluppo dello “Spazialismo”. Il disegno raffigura un nudo di donna, soggetto che caratterizza diversi disegni realizzati nello stesso anno. Confrontata con alcuni di questi, l'opera in esame risalta per l’estrema stilizzazione della figura, quasi astratta e delineata con pochi e incisivi tratti. E' di particolare interesse anche l’utilizzo della penna a sfera, che, favorendo una maggiore rapidità e immediatezza del segno, è impiegata dall'artista anche nella realizzazione dei primi disegni spaziali.
Jean Cocteau (Maisons-Lafitte, 1889 - Milly-la Fôret, 1963), La “mentonnaise”, matita su carta non vergata con filigrana, mm 208 x 270, Inv. MD 2008.130.103 Il disegno, corredato da un’autentica del 1996, appartiene alla serie di studi preparatori eseguiti dal celebre scrittore, drammaturgo, scenografo e poeta Jean Cocteau per la decorazione della “salle de mariage” a Mentone. La serie è riferibile agli anni 1956-58, quando egli fu incaricato di affrescare il Municipio della cittadina della Costa Azzurra. Il disegno in esame è lo studio per la figura di donna con il tipico copricapo di Mentone, che viene poi affrescata sul muro nord della sala: Cocteau sceglie soggetti caratteristici del Sud della Francia, alternandoli a temi mitologici. Le linee del disegno sono nette, tracciate con sicurezza: la donna, con il viso proteso verso l'alto e gli occhi con le palpebre abbassate, socchiude la bocca in attesa del bacio del marito, raffigurato, nella redazione finale, con il tipico copricapo dei pescatori.
Jean Cocteau (Maisons-Lafitte, 1889 - Milly-la-Fôret, 1963), Amical de Villefranche (recto) Studi (verso), matite colorate (recto) e litografia (verso) su carta non vergata, mm 503 x 333, firmato in matita nera: “Jean Cocteau”, Inv. MD 2008.130.104 L’opera sul recto reca un disegno stilizzato e la firma di Jean Cocteau, mentre sul verso sono tracciate figure di angeli e una figura femminile in abiti spagnoli. Per quanto riguarda il recto si può ipotizzare che si tratti un bozzetto per un’affiche o per una cartolina raffigurante il sole e il mare della Costa Azzurra o forse un'anfora. Il disegno è corredato da un’autentica del 1997, che sottolinea come la litografia sul verso sia tratta dall’Arlecchino raffigurato nella cappella di Villefranche del 1957. Il foglio pertanto si può datare alla metà degli anni '50, durante il soggiorno in Costa azzurra, quando è impegnato nella realizzazione della decorazione ad affresco della sala dei matrimoni al Municipio e della Cappella di Saint-Pierre.
Balthus (Balthazar Klossowki de Rola) (Parigi, 1908 - Rossiniére, Svizzera, 2001) Nudo su poltrona, acquerello monocromo su carta paglierino non vergata, mm 452 x 610, firmato in basso a sinistra: “Balthus”, Inv. MD 2008.130.099 L'acquerello è stato acquistato da Antonio Sozzani direttamente dalla Fondazione Balthus. E’ noto come nel suo periodo romano l’artista si sia dedicato alla produzione grafica: i suoi disegni spesso sono veri e propri fogli di lavoro. In numerosi studi realizzati intorno agli anni ’60 compaiono immagini di fanciulle: spesso le modelle sono identificabili in Katia e Michelina, due sorelle figlie di un dipendente di Villa Medici. In questa produzione si coglie un clima di sospensione, di movimento bloccato nell'attimo: le fanciulle sono colte in interni, tratteggiate con pochi elementi spesso ricorrenti, come la poltrona dall'alto schienale e dalle gambe ricurve e i ricchi tendaggi, talvolta appaiono assopite o in una posa come illanguidita, nel momento del risveglio, a volte sono ritratte in pose erotiche o aggressive, talvolta, infine, addormentate. Nel disegno in esame si può riconoscere, dai capelli neri e dal viso di profilo caratterizzato da lineamenti delicati, la giovane Katia: il corpo e la testa sono resi sapientemente con le ombreggiature di acquerello sfumato per zone con facilità di mano, pur nel semplice schizzo.
Toti Scialoja (Roma, 1914 - 1998), Senza titolo, collage con carta di giornali e tempera su carta non vergata, mm 497 x 358, firmato in basso a sinistra: “Scialoja '73”, Inv. MD 2008.130.101 Il disegno in esame fa parte dell’ultima produzione di Toti Scialoja, fase in cui l’artista compone in strisce verticali carte da parati, pagine di giornali e scritte che lasciano trasparire il colore, in questo caso azzurro polvere e beige, in una sequenza intervallata da strisce verticali nere, suggerendo forse la ricerca di un timbro musicale. Nel 1970 l’artista abbandona infatti la tecnica delle impronte che caratterizza tutta la sua prima fase per ritornare alla ricerca sul concetto “spazio – tempo” con opere in cui impiega strisce di carta dipinta, con colori pallidi, azzurro o rosa, giustapposte perpendicolarmente alla base del quadro, ottenendo un maggiore controllo nella scansione delle superfici, con un effetto di distanza, spersonalizzazione e di maggiore obbiettività.
Renato Guttuso (Bagheria, Palermo, 1912 – Roma, 1987), Donne par le maitre, china e ritocchi a tempera su carta non vergata, mm 728 x 692, firmato in basso a destra: “Guttuso ‘74”, Inv. MD 2008.130.100 Il disegno in esame proviene direttamente dallo studio del pittore siciliano a Velate, dove egli si stabilisce dal 1957 e dove dipinge durante il periodo estivo. Il disegno è stato donato al collezionista Sozzani personalmente dal pittore. Guttuso concepisce il disegno in maniera autonoma rispetto alla produzione pittorica: il disegno non rappresenta solo un momento preparatorio, ma costituisce materiale di studio. Come si riscontra nell’opera in esame, le linee dei suoi disegni sono forti, spesso brutali e deformanti e sottolineano le forme delle figure femminili, oggetto di tante composizioni: l'improvvisa torsione dei corpi dà movimento e vitalità alle forme e i ritocchi a tempera accentuano e modulano la prorompente fisicità delle due donne.
Graham Sutherland (Londra, 1903 – Mentone, 1980), Autoritratto, matita su carta vergata con filigrana, mm 265 x 435, Inv. MD 2008.130.102 L’autoritratto del pittore inglese Graham Sutherland, nè firmato né datato, si può approssimativamente datare intorno al 1975-77 per l'età dimostrata del pittore e per il confronto con altri autoritratti e ritratti coevi. Il segno della matita è molto preciso e si nota una ricerca attenta nella resa dell'immagine e un tentativo di penetrazione della realtà unito ad un gioco di luci e ombre. Lo sguardo intenso, vivo e giovane, nonostante l’età già avanzata dell’artista, attira e catalizza l'attenzione, mentre le rughe che solcano la fronte e le guance caratterizzate da passaggi morbidi dalla luce all’ombra rivelano un faticoso percorso di vita, ma anche la tensione dell’artista al raggiungimento della somiglianza e della espressività. Il disegno può essere confrontato con un dipinto conservato alla National Portrait Gallery di Londra, realizzato nel 1977, dove l’artista si ritrae nell’atto di disegnare, mentre qui si concentra solo sul volto.
Gunter Damisch (Steyr, 1958 – Vienna, 2016), Senza titolo, acquerelli e pastelli su carta non vergata, mm 750 x 577, Inv. MD 2008. 130.105 La ricerca dell’austriaco Gunter Damisch può essere ricondotta al “ritorno alla pittura” verificatosi in Europa a partire dagli anni Ottanta, momento in cui l’artista fu riconosciuto come appartenente alla “Neue Wilde Generation”, in riferimento al carattere neo-espressionista della pittura ricercata dal gruppo di artisti di area tedesca. Il disegno in oggetto spicca per l'accentuato cromatismo, ottenuto attraverso la combinazione dell'acquerello, utilizzato per lo sfondo fluttuante e mosso, e del pastello, a cui l'artista ricorre invece per la resa delle figure. Nella composizione si riscontra un impianto narrativo, in cui sembrano sovrapporsi diversi livelli di lettura, quasi a rappresentare l'evocazione di una scena passata.